Tutti i giorni sentiamo parlare di “omosessualità”, “omofobia”, “LGBTQ+” sui social, in televisione, a scuola, in radio e ... chi più ne ha, ne metta. In pochi però conoscono l’origine e la storia di questi termini...
Per arrivare alla definizione di omosessualità bisogna aspettare la seconda metà del XIX secolo; essa indica l’attrazione emozionale, romantica e/o sessuale verso individui dello stesso sesso e si riscontra non solo nell’essere umano ma anche in molte specie animali, come attestano delle ricerche condotte negli ultimi anni: ciò confuta la tesi molto diffusa secondo cui sia contro natura.
Ma facciamo un salto nel passato…
Nell’Antica Grecia l’omosessualità non era un’alternativa all’eterosessualità , ma era ammessa e ritenuta fondamentale in determinate fasi della vita: a Creta, i giovani eròmenoi venivano rapiti e portati fuori città per un periodo di due mesi da gli erastài e, al termine di questo periodo di segregazione, l’amante regalava all’amato l’equipaggiamento militare che indicava l’ingresso del giovane nell’età adulta.
Platone, addirittura, nel Fedro arriva ad affermare che l’amore di un uomo per un altro uomo è più nobile di quello per una donna, in quanto si tratta di un amore non finalizzato alla riproduzione ma basato su un sentimento disinteressato.
Tuttavia, con il mutamento politico e culturale che investì la città di Atene, questa visione cambiò.
Per quanto riguarda l’omosessualità femminile, abbiamo informazioni ridotte poiché la maggior parte della letteratura era scritta da uomini.
Per la maggior parte si tratta di alcuni frammenti di Saffo, poetessa di Lesbo vissuta nel VI secolo a.C., che era a capo del tiaso, una sorta di college che preparava le giovani aristocratiche alla vita matrimoniale iniziandole all’amore.
Come testimoniano le sue poesie, sembra che spesso nascessero, per così dire, delle vere e proprie relazioni amorose tra la maestra e le sue allieve.
Anche per la società romana, non era disdicevole che due uomini avessero rapporti carnali ma chi si dimostrava “parte debole” o effeminato era coperto d’infamia.
Durante l’età imperiale, entrò in vigore la Lex Scatinia la quale puniva i rapporti sessuali tra un adulto e i praetextati con multe di 10.000 sesterzi.
L’omosessualità femminile, invece, era totalmente bandita.
Con la conquista della Grecia nel secondo secolo a.C., il “vizio greco” entrò a far parte del mondo romano.
Nel basso Impero, però, con l’avvento del Cristianesimo, ogni manifestazione omosessuale fu bandita perché offendeva Dio e punita con la morte.
Tale concezione fu estesa a tutte le società e per molti secoli neppure lo stupro e l’incesto erano ritenuti gravi quanto l’amore “non conforme”.
Solo nell’Illuminismo, il codice Napoleonico stabilì che quest’ultimo era reato nel caso in cui venisse praticato pubblicamente o con persone minorenni o non consenzienti.
Ciò fu fondamentale per introdurre la distinzione tra vita sociale e privata.
Intorno alla metà dell’800, la medicina iniziò ad interessarsi di omosessualità: Charcot, noto neurologo francese, la definì una malattia degenerativa che bisognava curare.
Il primo a credere che fosse una variante della sessualità, fu il neurologo austriaco Freud: egli notò, infatti, che essa si presentava in individui che non avevano segni di devianza o menomazione mentale.
Sebbene la considerasse una forma di immaturità psichica, non la definì mai una malattia e si espresse con pessimismo rispetto alla possibilità di “convertire” gli omosessuali in eterosessuali.
Tuttavia a metà del XX secolo, ci fu una sorta di regresso: l’ideologia nazista reputò, infatti, l’omosessualità incompatibile con i propri ideali e, dopo aver consolidato il suo potere, Hitler incluse anche questa categoria (indicata con un triangolo rosa cucito sulla divisa) tra coloro che vennero inviati nei campi di concentramento durante la Shoah; e diede fine ai movimenti omosessuali che stavano iniziando ad emergere.
Egli era convinto che l’omosessualità fosse una minaccia per la capacità demografica del Paese e per il suo “carattere virile”.
Migliaia di gay vennero perseguitati, sottoposti alla sterilizzazione e alla castrazione o arrestati, in nome del famoso paragrafo 175.
Alcune di queste leggi continuarono ad essere presenti nell’ordinamento giuridico occidentale fino agli anni ’60, ’70 e per questo molte persone non rivelarono il proprio orientamento sessuale fino all’abrogazione di tali leggi.
Fu proprio nel 1960 che nacque la cosiddetta terapia di conversione, una pratica pseudoscientifica volta a cambiare l’orientamento sessuale dell’individuo mediante l’utilizzo dell’elettroshock, creando un collegamento tra il desiderio e il dolore.
Furono molte le persone che si sottoposero volontariamente e involontariamente a questa terapia, il cui impatto fu devastante.
Depressione, ansia, abuso di sostanze stupefacenti, suicidio, isolamento e odio verso se’ stessi sono solo alcune delle conseguenze.
Eppure, pur non avendo alcun fondamento scientifico, la terapia di conversione viene praticata ancora oggi, in tutto il mondo.
In Europa, nel marzo 2018 il Parlamento europeo ha condannato le pratiche di conversione ma purtroppo, solo a Malta e in alcune regioni della Spagna sono state abolite.
Nonostante la concezione della sessualità si sia evoluta e siano entrate in vigore leggi che tutelano i diritti della comunità LGBTQ+, la situazione rimane ancora critica a causa del persistere di pregiudizi, discriminazione e violenza motivati dall’odio omofobico e da un sentimento diffuso di intolleranza..... E così in un clima di persistente ignoranza molte persone non sono libere di esprimersi per quello che sono.
(Eugenia Fratta, classe 3^F LES, ISISS “ Fiani_ Leccisotti” , Torremaggiore – FG)"