Come afferma Edgar Morin in Terra-Patria, oggi l’uomo deve saper concentrare in se stesso molte identità che partono da quelle più piccole dell’ identità familiare, per passare da quella regionale, nazionale e arrivare poi a quella internazionale: in altre parole il concetto di specie deve essere sostituito da quello di umanità che racchiuda tutta la diversità umana e al contempo la sua unità.
Allo stesso modo, nel passaggio dalla modernità alla post-modernità, le grandi narrazioni, cioè le grandi teorie filosofiche che pretendevano di racchiudere in sé tutta l’esistenza della realtà, sono state vinte dalle piccole narrazioni che tengono conto e prendono in esame i singoli aspetti che compongono la complessità e la varietà della vita: le piccole narrazioni, anche dette pensiero debole secondo il filosofo italiano Vattimo, possiedono quella caratteristica che l’uomo post-moderno deve imparare a sviluppare, e cioè il saper aprirsi alla pluralità delle varietà dell’odierna complessità sociale, sapersi mettere in discussione, adattarsi e accettare la diversità umana.
Tuttavia, nell’immaginario collettivo, si pensa che in questa unificazione tra diversità del singolo e unità umana, uno dei due perda quella peculiarità, quegli elementi che li rendono tali. Indubbiamente vivere come singolo individuo, distaccato dalla realtà sociale che lo circonda, oltre ad essere impossibile in un villaggio globale in cui la tecnologia determina un forte sentimento di interdipendenza globale, non porta a dei risultati positivi. Basti pensare a “l’uomo a una dimensione” del filosofo tedesco Marcuse descrivibile come un individuo incapace di cogliere e comprendere la reale complessità, varietà e ricchezza dell’esistenza in quanto inabile di adoperare criticamente la propria capacità razionale. L’uomo a una dimensione diventa così facile vittima della massificazione e del consumismo, che caratterizzano l’attuale globalizzazione e che portano all’annullamento della propria identità specifica e irripetibile.
Dunque appare evidente che affrontare da soli il complesso mondo post-moderno non sia una strada praticabile. Che fare dunque? Innanzitutto, come sostiene la filosofa statunitense Nussbaum nel suo libro “Coltivare l’umanità” , è necessario che l’uomo impari a comportarsi come cittadino del mondo, ovvero come cittadino consapevole di appartenere a un gruppo, perdipiù dotato di proprie tradizioni locali, il quale a sua volta fa parte di un più ampio gruppo multietnico che coincide con l’umanità intera. Questo sarà possibile quando l’uomo svilupperà la capacità di esaminare criticamente se stesso e la propria tradizione senza elaborare sterili e infruttuosi pregiudizi, nella consapevolezza di essere individui legati da interessi comuni e dalla necessità di un reciproco riconoscimento fino ad arrivare al completo esercizio dell’empatia, che la Nussbaum definisce immaginazione narrativa. Alla fine l’uomo giungerà a comprendere di essere dotato di tutte le abilità e competenze necessarie per trascendere il suo aspetto più egoistico da individuo e quindi riuscire a difendere i diritti umani di quella comunità globale di cui agli stesso fa parte e che a sua volta accetta.
A tal proposito, il filosofo tedesco Jonas sostiene nel suo libro “Il principio responsabilità” la necessità di sviluppare un’etica globale per una nuova umanità consapevole che, in un mondo ormai così interdipendente da ogni punto di vista, la ricerca di soluzioni non vada più indirizzata verso un fine puramente individualistico, bensì collettivo e che il rispetto delle norme morali non sia utile solo al benessere odierno, ma anche ad adempiere ai dov’eri che l’uomo possiede verso il diritto alla vita delle generazioni future. Questo si traduce, nel concreto, nel seguire sempliciregole di solidarietà che partendo dal singolo vengono poi replicate da tutti gli altri fino ad ottenere degli effettivi risultati benefici, ad esempio sull’ambiente.
Ed allora è qui che si comprende il valore del singolo e soprattutto delle sue azioni che si ripercuotono sulla generazione presente e futura. Oggi più che mai, mentre sperimentiamo una pandemia globale, questo concetto ci tocca nel profondo: siamo stati improvvisamente catapultati in una realtà in cui indossare una mascherina, rispettare il distanziamento o il coprifuoco, oltre ad essere diventato quotidianità, ci porta ad essere più responsabili verso gli altri. La pandemia da covid-19 ha indubbiamente ribaltato tutto, persino quelle certezze che ci sembravano tanto salde, e così, una delle conseguenze più difficili di questa nuova quotidianità è stata proprio la perdita definitiva dei punti di riferimento, già resi labili dalla società globale, in cui tutto cambia forse troppo in fretta, troppo freneticamente, fino a far nascere un sentimento di incertezza che non trovato soluzione nemmeno nei rapporti affettivi, anch’essi resi instabili ed effimeri. Forse quello che abbiamo vissuto da un anno a questa parte ci ha messi di fronte alla realtà nuda e cruda, difficile certamente da accettare, ma a cui è possibile trovare rimedio ad esempio nella forza dell’unione, in fondo lo stesso Bauman afferma che la felicità non è la mancanza di problemi, ma deriva dal saperli superare, in certi casi, insieme.
Mariangela Ramundo - Liceo "G. Bianchi Dottula" Bari - classe 5^CU Scienze umane