IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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Dobbiamo accettare l’eutanasia per le persone affette da malattie incurabili? Chi può decidere di porre fine alla vita di un uomo? Chi soffre di più, il malato o coloro che lo circondano?  L’eutanasia non è né un gesto d’umanità né un atto di compassione, ma un progetto che mette in discussione la professione medica e, più in generale, il legame simbolico tra le generazioni. Non solo il medico ha il dovere di non arrendersi alla morte, ma deve anche infondere al suo paziente speranza, fiducia, voglia e forza di lottare.

Dieci anni fa moriva Eluana Englaro. Il caso della ragazza che il padre ancora chiama “puledro di libertà” divise l’Italia ed è stata lunga e sfibrante la battaglia di Beppino Englaro per “liberarla”.
È il 18 gennaio 1992 quando l’allora 21enne rimane coinvolta in un incidente stradale a Lecco. I medici riescono a strapparla alla morte, ma non a riportarla a una vita normale. Il 16 ottobre del 2007 la Cassazione rinvia di nuovo la decisione alla Corte d’appello di Milano che il 9 luglio 2008 autorizza la sospensione dell’alimentazione: per i giudici lo stato vegetativo è irreversibile, gli accertamenti sulla volontà presunta di Eluana portano a concludere che lei avrebbe scelto di morire.
“Finalmente sarà libera” dichiara il padre, che non immagina quanto la strada sarà ancora lunga. Contro la sua decisione scendono in campo associazioni, comitati etici, politici. Si parla di eutanasia e di diritto alla vita, di condanna a morte e di dignità dell’esistenza. Eluana è diventata un caso. Ma gli ostacoli sono anche di natura pratica. Eluana può essere accompagnata a morire. È il 9 febbraio 2009 quando il suo cuore smette di battere.
Come anche il caso insigne che rimasto tetraplegico in seguito a un incidente stradale, Fabiano Antoniani, noto a tutti come “dj Fabo”, scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera, il 27 febbraio del 2017. Con lui c’era Marco Cappato, esponente dell’associazione Luca Coscioni, che il giorno successivo si autodenunciò.
Ogni Regione ha propri percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali, non garantendo omogeneità sul territorio nazionale. Quello che è del tutto ignorato è invece il piano individuale delle scelte di fine vita. Sembra strano dovere premettere che servono interventi di ogni natura per sostenere persone e famiglie oltre a una rete di servizi con integrazione socio-sanitaria, comprese le cure palliative, per mettere la persona nelle condizioni di vivere la miglior vita possibile con la sua malattia.
Accanto a ciò, non possiamo dimenticare che anche con la malattia, qualsiasi essa sia, ogni persona mantiene il diritto di decidere sul proprio corpo. E sulla propria vita.
A tutto ciò il Parlamento dovrebbe dare una risposta. Eppure da oltre un anno ha abbandonato il dibattito sul tema. L’emergenza Covid qui non c’entra, è la volontà politica di affrontare un argomento così difficile a mancare.

Marika Mazzone - Liceo “G. Bianchi Dottula” Bari- classe 5^BU Scienze Umane

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