IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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All’indomani dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, tutti noi siamo portati a chiederci se mai, fino a qualche tempo fa, avremmo potuto anche solo lontanamente immaginare di tornare a vivere in una condizione di dittatura, conflitto e privazione della libertà. Ci sarebbe sembrato assurdo anche il solo pensiero, eppure, ad oggi, tutto questo è realtà, una realtà terribile che, giorno dopo giorno, coinvolge sempre più territori, sempre più persone, sempre più denaro, e logora il tessuto sociale ed il suo assetto democratico.
Ma possiamo davvero parlare di “dittatura” come la intendevamo ai tempi del crollo del regime comunista sovietico? Con l’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione, la globalizzazione che ha impetuosamente investito il territorio globale, ed il processo di “occidentalizzazione” che ha investito l’Oriente, con l’ingresso della Cina nel Wto,
Organizzazione mondiale del commercio, nel 2000, si è fatta strada nelle nostre menti l’idea per la quale la democrazia liberale fosse ormai giunta ovunque, e le uniche forme di repressione e regime dittatoriale riguardassero la Siria, il Pakistan e l’Arabia Saudita, vessate ed assediate dalle azioni talebane.
Eppure, tutte le nostre certezze sono volate via a seguito dell’ideologia socio-economica e politica di Vladimir Putin, i cui piani hanno preso forma sotto lo sguardo indifferente e non curante del resto del mondo. Le vessazioni ed umiliazioni oltre frontiera sono sistematicamente ignorate, come se non ci toccassero, come se le loro conseguenze non ricadessero su uomini, donne e bambini che potrebbero essere nostri familiari, amici o conoscenti. I sopravvissuti agli attacchi di Mariupol, che da settimane ormai assistono a sequestri, morte, devastazione e deportazioni, non hanno dubbi: gli effetti della dittatura, sia pur essa “mascherata”, sulla carta, sotto le vesti di democrazia federale, fanno di nuovo parte della quotidianità, tanto ucraina quanto russa.
Del gioco sporco della guerra, in questi tempi, sono veicolo anche i social network: la costante circolazione di notizie ed i continui aggiornamenti sul conflitto contribuiscono a consapevolizzare la società ma, in molti casi, strumentalizzano il dolore e la sofferenza, senza fornire aiuti concreti.
I vantaggi che ci ha portato la democrazia, relativi al rispetto della dignità e dei diritti degli esseri umani, presentano, però, un altro aspetto: l’incompatibilità culturale, spesso fonte di numerosi capi d’accusa, ed altrettanti di difesa, che, in passato, giustificavano le azioni di guerra, sollecitando, conseguentemente, gli interventi pacificatori delle Nazioni Unite.
Il messaggio univoco è, dunque, rivolto agli uomini, al di là del ruolo di vittime o carnefici da essi rivestito: il passato deve sempre fungere da insegnamento, in particolar modo in un presente che corre veloce, nel quale i soprusi e le ingiustizie si consumano nel silenzio assordante di coloro che li subiscono e, in contemporanea, rimbombano rumorosamente nel campo mediatico, del quale tutti sono spettatori, ma solo pochi davvero partecipi.
Michea Alessandra classe 5BU, Liceo delle Scienze Umane “G. Bianchi Dottula”, Bari

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