Qualche decennio fa si guardava agli anni 2000 aspettando di trovare grandi cambiamenti, invenzioni imponenti ed enormi passi in avanti su tutti i fronti. Naturalmente, questo secolo ha vissuto cambiamenti positivi, ma è sconcertante rendersi conto che alcuni Stati si trovano ancora in condizione di profonda arretratezza e, per esempio, è destabilizzante leggere la quantità di Paesi che tutt’ora hanno in vigore la pena di morte. Afghanistan, Bangladesh, Bielorussia, Cina, Cuba, Egitto, India, Indonesia, Iran, Iraq, Giappone, Giamaica, Corea del Nord, Pakistan, Siria, Stati Uniti d’America sono solo alcuni dei paesi, in totale 58, nei quali la pena di morte è legale. Molti sostengono sia la giusta punizione per chi ha compiuto offese tali da non poter essere perdonate, perché solo la morte sarebbe la punizione adeguata. In realtà, io credo che nessun essere umano abbia il diritto di privare un’altra persona della vita, per quanto le azioni commesse possano essere tremende e imperdonabili. Pertanto, trovo la pena di morte una grande sconfitta per la civiltà, per un sistema nel quale si parla costantemente di “diritti e doveri”. È allarmante notare, nella lista di paesi aderenti alla pena di morte, nazioni “evolute” che al giorno d’oggi sono fondamentali per l’economia e la vita mondiale: Cina, Stati Uniti, Giappone sono Paesi che vengono considerati “il nostro futuro”. Ma che futuro c’è, in un paese nel quale si condanna un omicida, uccidendolo a sua volta? Si va solo incontro ad un ragionamento incoerente, partorito da chi pensa di farsi giustizia con la forza. È lo stesso concetto che sosteneva Beccaria, ben tre secoli fa.
Fortunatamente, esistono alcune associazioni che fra i vari obiettivi, tutti riguardanti i diritti umani, si prefissano anche l’eliminazione della pena di morte, fra le quali Nessuno tocchi Caino che si dedica unicamente a questo tema, il Partito Radicale Transnazionale, Amnesty international e la comunità di Sant’Egidio. Queste associazioni sono gestite da persone con un forte senso di umanità che si prefissano l’obiettivo di abolire la pena capitale. Per quanto gloriosa e umanamente grandiosa sarebbe quest’impresa, e per quanto ammiri chi ha avuto la dedizione di dedicarsi a queste tematiche di vitale importanza, purtroppo non credo sia un obiettivo concretamente raggiungibile. Pensare di arrivare all’eliminazione della pena di morte in ogni singolo Stato della Terra mi sembra una visione più che ottimistica, direi quasi irrealistica; percepisco in questo obiettivo solamente un desiderio vano di vedere un cambiamento radicale nel mondo, e una visione troppo astratta per le condizioni governative attuali. I Paesi nei quali la pena di morte è ancora in vigore sono numerosi e molto diversi fra loro: alcuni sono arretrati culturalmente e dal punto di vista civile, mentre altri invece vivono nel progresso. Nei Paesi più moderni sarebbe una prospettiva anche perseguibile, ma nella maggior parte degli Stati, soprattutto quelli ancora in via di sviluppo, è difficile che si arrivi a questo traguardo. Mi rammarico di tutto ciò, perché per me vuol dire ammettere che certi Stati non raggiungeranno il grado di maturità civica che ci aspetteremmo da un Paese moderno e alcune persone continueranno a vivere con la convinzione di avere il diritto di poter privare della vita un altro essere umano: da essere umano io stessa, è una verità molto amara da digerire.
D’altra parte, milioni di persone la pensano in maniera differente, considerando che la pena di morte è in vigore in 58 su circa 200 Stati, cioè poco più di un quarto degli Stati presenti sulla Terra. Perciò, si può pensare che sarà solo una questione di tempo l’adeguamento degli altri Paesi all’abolizione della pena capitale. Inoltre, molti ripongono la loro fiducia negli Stati più sviluppati e ricchi, pensando che saranno i primi a raggiungere questo obiettivo e, di volta in volta, gli altri Stati emuleranno questa tendenza. Di conseguenza, si potrebbe sperare nell’elezione di nuovi politici con una mentalità più aperta e meno conservatrice e che portino ad un reale cambiamento.
Tuttavia, sono più propensa a credere che questa prospettiva si allontani dalla realtà. Infatti, senza tener conto dei tempi infiniti che una teoria tale impiegherebbe per avverarsi, la vedo anche molto improbabile dal punto di vista politico. Difatti, per quanto riguarda gli Stati più sviluppati, come il Giappone o gli Stati Uniti, la speranza si ripone nelle capacità dei politici: questo non fa che rendere più e più lontano l’obiettivo. È stato osservato che con il passare degli anni si è verificata una tendenza che spinge sempre di più verso una polarizzazione del pensiero e delle opinioni, dovuta anche molto ai social media. La conseguenza di tutto ciò è solo una: l’estremismo. Perciò, se da una parte può essere eletto un politico con un senso di umanità profondo, dall’altro potremmo ritrovarci un despota crudele. Invece, per quanto riguarda le nazioni più arretrate, le speranze sono ben poche. Infatti, non si tiene spesso in considerazione che molti Stati che hanno ancora in vigore la pena di morte sono profondamente sottosviluppati e che ai loro vertici non governano persone disposte ad un libero e democratico scambio di idee. Spesso si tratta di dittatori che regnano secondo un ideale di giustizia proprio e, alcune volte, qualsiasi forma di dialogo è impossibile (come in Corea del Nord).
E’ fondamentale ricordarsi il destino nostro e dell’umanità è nelle nostre mani, spetta a noi decidere se e per cosa combattere: sarebbe meraviglioso farlo per un mondo migliore, nel quale vengano rispettati i diritti umani.
Sara Stornelli - classe 5^AL Liceo Linguistico "Bianchi Dottula" Bari
La pena di morte tra attese e cambiamenti
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- Inserito da Lia De Marco
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