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Tale termine indica azioni criminali violente premeditate ed atte a suscitare clamore come attentati, omicidi, stragi, sequestri, sabotaggi, dirottamenti a danno di collettività o enti quali istituzionali statali e pubbliche, governi, esponenti politici o pubblici, gruppi politici, etnici o religiosi. Non esiste una definizione univoca del termine. Ne è stata data una, nel 1937, dalla Società delle Nazioni: “fatti criminali diretti contro lo Stato in cui lo scopo è di provocare terrore nella popolazione o in gruppi di persone”. Secondo l’analisi del prof Antongiulio de Robertis, ordinario di Storia dei trattati e Relazioni internazionali all’Università di Bari e vicepresidente del Comitato atlantico italiano, è iniziato tutto dalla seconda guerra del Golfo. E, quindi, forse ci dovremmo chiedere se non gioverebbe riportare il sistema internazionale a quella sorta di armonia che lo caratterizzava in quegli anni Novanta definiti dallo storico inglese Tony Giudt gli “anni della locusta”, cioè gli anni in cui i valori sono stati come divorati da una locusta. Parliamo dei valori enunciati nella Conferenza di Parigi del novembre del ’90, nella Carta della Nuova Europa. Principi che raccomandavano e garantivano stabilità con l’impegno alla non interferenza negli affari interni degli Stati. Impegno ampiamente disatteso negli ultimi vent’anni. Questi ultimi anni sono stati caratterizzati dalla presenza del cosiddetto terrorismo sistematico: l’era degli attentati.
11 settembre 2001: Stati Uniti- Quattro voli di linea sono dirottati dai terroristi e tre si schiantano volontariamente contro le Torri gemelle del World Trade Center a New York e il Pentagono a Washington. Il quarto aereo precipita in Pennsylvania. Si tratta degli attentati-rivendicati da al Quaida- più gravi della storia, che provocano circa 3mila morti. L’elenco prosegue in modo raccapricciante: Indonesia, Spagna, Gran Bretagna, India, Mumbai, Kenya, Francia, Tunisia, Turchia, Egitto, Libano, Francia, Belgio.
Non per tutti la vita umana ha lo stesso valore, né per se stessi né per gli altri. Le conseguenze di logiche contrapposte per cui le vite hanno diverso valore a seconda dell’appartenenza, rende difficile la soluzione, il dialogo, la tregua. In questo quadro, in cui o si vince o si muore, perde qualsiasi forza la comunità internazionale, la voce di chi si oppone alla guerra e alla violenza, di chi potrebbe avanzare proposte alternative. Ci sono bambini, donne, uomini, da salvare dal massacro, siano essi yazidi, cristiani o musulmani, con un corridoio umanitario, immediato. Non c’è tempo da perdere. Se non ci muoveremo, allora sì, forse, diventeremo noi i bersagli del terrorismo, allora sì la guerra sarà nelle nostre vite, allora sì dovremo alzare l’allarme in tutto l’Occidente. Ma non servirà a molto.
Luca Rana, 2 A/l
Liceo Classico, Linguistico e delle Scienze Umane “F. De Sanctis” - Trani

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