Il termine “moda” indica uno o più comportamenti collettivi che rispondono a criteri mutevoli. Principalmente essa è nata per la necessità umana di coprirsi con tessuti. Col tempo, l’abito assunse anche delle funzioni sociali, volte a distinguere le varie classi e le mansioni sacerdotali, amministrative e militari. Prima dell’Ottocento i ceti bassi dovevano indossare solo abiti usati e colorati con tinte poco costose come il grigio. Grazie alla rivoluzione industriale, avvenuta in Inghilterra, nacquero delle macchine che permettevano di tessere, tagliare e cucire con rapidità e a basso costo.
Ciascun articolo d'abbigliamento ha varie funzioni: quella pratica legata alla vestibilità, quella estetica legata al gusto dell'epoca, quella simbolica grazie alla quale l'abito può definire l'appartenenza ad una particolare comunità e nello specifico identificare lo status sociale, civile e religioso.
Nel tempo la moda ha assunto dei notevoli cambiamenti. Essa oggi si ispira e si appropria di tendenze derivanti dall'abbigliamento di strada. È una moda libera e indipendente che permette di esprimere la propria personalità. A noi giovani infatti non piace farci condizionare nella scelta dei nostri gusti dal mondo degli adulti, come accadeva in passato, ma preferiamo dar vita ad una moda soltanto nostra, nella quale possiamo riconoscerci e che possiamo interpretare a modo nostro. Così questo tipo di abbigliamento un po’ fuori dagli schemi, agli occhi di una persona anziana o legata alle tradizioni, può sembrare un pugno in un occhio, un’eccentricità senza significato.
Ad oggi è molto presente la tendenza a giudicare una persona dal modo di vestirsi, che rappresenta il nostro biglietto da visita e che, per quanto stravagante ed eccessiva possa essere, ci rispecchia in pieno e non in modo necessariamente negativo. Sembrerebbe una tendenza simile a quella con cui molti sono soliti giudicare un libro dalla copertina.
E’ stato dimostrato come gli adulti siano soliti giudicare negativamente un ragazzo che indossi un paio di pantaloni strappati, come ha avuto modo di fare il critico d’arte Vittorio Sgarbi in un’intervista fatta ad un cosiddetto rich kid, ovvero un “figlio di papà”, un modello che i ragazzi seguono in molti.
Alla domanda «su quali basi è diventato un modello da seguire questo ragazzo?» Sgarbi ha risposto, con lo stile polemico che gli è proprio, «[…] lo è diventato per un popolo di coglioni come lui, la cui figura si rappresenta dai pantaloni che porta […] per dire che cosa? […] E’ uno spettacolo turpe di una gioventù senza idee, senza civiltà, senza armonia e senza moda […]».
Nonostante questi pregiudizi che si hanno sulla moda che potrebbe considerarsi un’espressione artistica come le altre, questa continua ad essere al centro di comportamenti e scelte autonome da parte di chi la segue.
Accade però che quest’autonomia di gusto, per diventare moda, deve entrare a far parte di un giro d’affari che è in mano agli adulti.
Infatti una precisa scelta non può diventare oggetto di moda se non diventa un prodotto commerciale che ha una grande diffusione.
Panza, Monticelli III AU Liceo G. Bianchi Dottula