Le conseguenze date da guerre, conflitti, invasioni e migrazioni hanno contribuito a plasmare ogni angolo del mondo e hanno imposto la necessità di regolamentare i flussi e gestire le convivenze. Diversi sono stati i provvedimenti in materia. Solo per citarne alcuni: nel 1921 la prima legge in grado di regolare il fenomeno migratorio, "Emergency Immigration Act" in America e nel 1971 il "Multiculturalism Policy" in Canada, normativa che tutelava e permetteva alle regioni con presenza francofona di legiferare autonomamente nei meriti di determinati ambiti politici e sociali.
Le organizzazioni governative, quindi, hanno cercato di salvaguardare il più possibile la diversità all'interno degli stati. In particolare, sono tre i modelli di assimilazione culturale: tedesco, francese e inglese. Il primo è di istituzionalizzazione della precarietà, ovvero lo straniero è percepito come soggetto di passaggio presente sul territorio nazionale per questioni o esigenze lavorative. È nell'interesse dello stato agevolare la condizione dei migranti con l'auspicio che presto possano tornare a casa. Il secondo modello, francese, è assimilazionista: lo straniero è considerato parte integrante della comunità sotto tutti i punti di vista, compreso quello culturale. Infine, vi è il modello relativista, considerato il migliore fra i tre, poiché d'ispirazione liberista. L'immigrato ha piena capacità e possibilità di esprimersi nel rispetto delle norme e delle libertà d’altri: questo modello sembrerebbe riassumere meglio il concetto di multiculturalismo. I paesi soggetti prevalentemente a percepire ondate di flussi migratori provenienti dal Sud e dall'Est del globo, sono quelli più industrializzati dell'Europa. Si lascia il proprio paese tendenzialmente per ragioni di carattere lavorativo considerando la possibilità di trovare più sbocchi occupazionali all'estero, oppure per contrasti di carattere ideologico con i regimi esistenti. Un esempio di questo tipo è sicuramente lo scoppio della crisi economica e di ondata migratoria in seguito all'ulteriore crisi dei regimi a ispirazione comunista, quindi si parla prettamente di paesi asiatici; questo fenomeno è accompagnato dall'emancipazione di tutti quei territori soggetti all'influenza ideologica europea, (decolonizzazione).
Uno dei tratti distintivi dell'emigrazione recente, nei confronti di quella del passato, è sicuramente il ruolo protagonista dei mass media. Se un tempo le persone migravano per esigenze d'ordine lavorativo, ora a queste si affiancano motivazioni di tipo turistico, svago, studio, ecc... non è marginale la grande rivoluzione avuta dal punto di vista comunicativo: grazie allo sviluppo tecnologico e al fenomeno della globalizzazione vi è una diffusione sempre più prorompente e immediata di informazioni e questo facilita, in parte, la vicinanza e l'assimilazione di culture che in passato non sembravano interessarci. Difficilmente si migra in un paese con l'intento di rimanerci a vita ed è per questo che si può considerare chiusa la questione dell'emigrazione "di sola andata”,lasciando invece spazio, a quella di tipo "itinerante". Si "viaggia" secondo le esigenze dettate dal mercato del lavoro, nei luoghi in cui più è richiesta manodopera, ma non solo, il problema della precarietà e la flessibilità hanno fatto sì che in questo nuovo mondo industrializzato, la mobilità sia alla base del mercato lavorativo, evidenziando, quindi, il distacco con quelle che erano invece, le prospettive lavorative fino agli anni settanta del secolo scorso. Infine, migrazione nell'immaginario collettivo, è sicuramente sinonimo di presenza di diversità nel territorio nazionale. Quest'osservazione non deve essere considerata come momento di allontanamento o perdita delle proprie origini, anzi, l'atteggiamento auspicabile sarebbe proprio quello dell'interculturalismo, ovvero il processo di interazione e integrazione delle diverse culture, al fine di ritrovare un terreno comune di dialogo e potersi confrontare su usi, costumi e aspettative di vita differenti. L'atteggiamento "interculturalista" si differenzia dal "multiculturalismo" proprio perché permette di uscire dal proprio guscio d’idee e rapportarsi col resto del mondo.
Simona Speranza VAE Liceo Bianchi Dottula - Bari
Le organizzazioni governative, quindi, hanno cercato di salvaguardare il più possibile la diversità all'interno degli stati. In particolare, sono tre i modelli di assimilazione culturale: tedesco, francese e inglese. Il primo è di istituzionalizzazione della precarietà, ovvero lo straniero è percepito come soggetto di passaggio presente sul territorio nazionale per questioni o esigenze lavorative. È nell'interesse dello stato agevolare la condizione dei migranti con l'auspicio che presto possano tornare a casa. Il secondo modello, francese, è assimilazionista: lo straniero è considerato parte integrante della comunità sotto tutti i punti di vista, compreso quello culturale. Infine, vi è il modello relativista, considerato il migliore fra i tre, poiché d'ispirazione liberista. L'immigrato ha piena capacità e possibilità di esprimersi nel rispetto delle norme e delle libertà d’altri: questo modello sembrerebbe riassumere meglio il concetto di multiculturalismo. I paesi soggetti prevalentemente a percepire ondate di flussi migratori provenienti dal Sud e dall'Est del globo, sono quelli più industrializzati dell'Europa. Si lascia il proprio paese tendenzialmente per ragioni di carattere lavorativo considerando la possibilità di trovare più sbocchi occupazionali all'estero, oppure per contrasti di carattere ideologico con i regimi esistenti. Un esempio di questo tipo è sicuramente lo scoppio della crisi economica e di ondata migratoria in seguito all'ulteriore crisi dei regimi a ispirazione comunista, quindi si parla prettamente di paesi asiatici; questo fenomeno è accompagnato dall'emancipazione di tutti quei territori soggetti all'influenza ideologica europea, (decolonizzazione).
Uno dei tratti distintivi dell'emigrazione recente, nei confronti di quella del passato, è sicuramente il ruolo protagonista dei mass media. Se un tempo le persone migravano per esigenze d'ordine lavorativo, ora a queste si affiancano motivazioni di tipo turistico, svago, studio, ecc... non è marginale la grande rivoluzione avuta dal punto di vista comunicativo: grazie allo sviluppo tecnologico e al fenomeno della globalizzazione vi è una diffusione sempre più prorompente e immediata di informazioni e questo facilita, in parte, la vicinanza e l'assimilazione di culture che in passato non sembravano interessarci. Difficilmente si migra in un paese con l'intento di rimanerci a vita ed è per questo che si può considerare chiusa la questione dell'emigrazione "di sola andata”,lasciando invece spazio, a quella di tipo "itinerante". Si "viaggia" secondo le esigenze dettate dal mercato del lavoro, nei luoghi in cui più è richiesta manodopera, ma non solo, il problema della precarietà e la flessibilità hanno fatto sì che in questo nuovo mondo industrializzato, la mobilità sia alla base del mercato lavorativo, evidenziando, quindi, il distacco con quelle che erano invece, le prospettive lavorative fino agli anni settanta del secolo scorso. Infine, migrazione nell'immaginario collettivo, è sicuramente sinonimo di presenza di diversità nel territorio nazionale. Quest'osservazione non deve essere considerata come momento di allontanamento o perdita delle proprie origini, anzi, l'atteggiamento auspicabile sarebbe proprio quello dell'interculturalismo, ovvero il processo di interazione e integrazione delle diverse culture, al fine di ritrovare un terreno comune di dialogo e potersi confrontare su usi, costumi e aspettative di vita differenti. L'atteggiamento "interculturalista" si differenzia dal "multiculturalismo" proprio perché permette di uscire dal proprio guscio d’idee e rapportarsi col resto del mondo.
Simona Speranza VAE Liceo Bianchi Dottula - Bari