Hikikomori, “hiku” tirare, “komoru” ritirarsi significa letteralmente “stare in disparte, isolarsi”. Il termine è usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, confinando e isolando i propri spazi
Questo fenomeno , sviluppatosi in Giappone ma ormai dilagante anche in Europa, , è ancora poco conosciuto .E’ causato da fattori personali di varia natura ed è spesso diagnosticato come depressione,che si manifesta con permanenza in ambiente domestico per lunghi periodi di tempo e mancanza di rapporti sociali emotivi.
Gli “hikikomori”, ragazzi spesso intelligenti, ma anche particolarmente introversi e sensibili, si rifiutano dunque di uscire di casa e isolandosi nella propria stanza, aumentano la permanenza in ombra per un numero non breve di anni. Sono soliti pranzare e cenare nel proprio letto o sul proprio tappeto con un vassoio passato dai genitori attraverso la porta. Ed è proprio quella familiare a volte una delle cause possibili, per assenza emotiva del padre ed eccessivo attaccamento alla madre.
Paradossalmente questi giovani interagiscono virtualmente con il mondo: la dimensione del gruppo sulla piattaforma crea un senso di appartenenza e accettazione immediata, che non sembra caratterizzata da regole severe a cui sottostanno i gruppi nella realtà quotidiana. Una dipendenza da Internet che rappresenta una conseguenza del loro isolamento sociale.
Sempre la stessa prassi: trovi una piattaforma, breve presentazione, descrizione del problema e una motivazione credibile sull’essere “hikiki”.
Questi giovani ripetono sempre di voler essere lasciati in pace, spesso rifiutano la scuola e questo atteggiamento di rifiuto porta di contro a conflitti con i genitori: infatti, i percorsi terapeutici possono rivelarsi inconcludenti quando non vi è una motivazione reale e spesso chi accetta di essere seguito da professionisti lo fa solo per “tener contenti gli altri”.
Informare, sensibilizzare e tentare di accendere una riflessione critica sul fenomeno, senza stigmatizzarlo è l’obiettivo che ci si pone , considerato che spesso è proprio la paura di essere giudicati o la pressione di realizzazione sociale, l’unico fattore trasversale in tutti i casi di isolamento volontario.
A. D’ Aluisio, R. Di Pietro, R. Mansi IV AL Liceo Economico Sociale "Ettore Carafa" Andria