Durante l’età barocca, la letteratura italiana subì forti limitazioni e restrizioni da parte della Chiesa di Roma, intenzionata ad ottenere il controllo in tutti gli ambiti culturali.
Nella società di allora la donna rivestiva, dunque, un ruolo marginale, ed era rappresentata, in ambito letterario, in modo del tutto convenzionale, secondo il classico stereotipo per il quale la vita della donna dovesse essere esclusivamente votata alla cura della casa e dei figli. Tuttavia, tali descrizioni convenzionali consentono ai poeti di riprendere il modello petrarchesco, così che possano descrivere, come in Giovan Battista Marino, una figura femminile più aurea ed idealizzata.
Un altro tema molto presente per quanto riguarda la figura della donna nel ‘600 è il suo dilemma, il continuo contrasto tra il senso religioso e le proprie passioni, che il buon senso e la pudicizia impongono di reprimere; tale tema è ampiamente affrontato nelle tragedie di Federico Della Valle, le cui protagoniste sono accomunate da una condizione di prigionia, sia reale, come nel caso della prigione di Maria Stuarda, sia metaforica, come nel caso di Betulia, costrette a fronteggiare un dissidio interiore che le tormenta. Le donne si trovano dunque al centro dell’azione drammatica e diventano simbolo della fragilità e debolezza del genere umano.
Tuttavia, a distanza di poco meno di un secolo, nel ‘700 la concezione della figura femminile cambia in modo piuttosto radicale, basti pensare alla descrizione della donna nei testi di Giuseppe Parini. Egli, infatti, è molto affascinato dalla nobiltà e dai valori dell’antica classe aristocratica, ormai in decadenza, e nel poemetto satirico “Il Giorno” denuncia e condanna, seppur avvalendosi di toni satirici, la perdita di valori tipica della società del suo tempo, dovuta anche all’ormai consolidata abitudine ai vizi, quali ad esempio, riferendosi alla donna, l’eccessiva cura dell’aspetto estetico, per pura vanità e avvenenza della propria persona, la mondanità di quest’ultima, e l’abitudine a fare pettegolezzi tra dame, che fanno di essa una figura frivola.
Nonostante ciò, egli non resta comunque indifferente a questa nuova visione della femminilità, e la grazia di tali dame viene persino esaltata nelle odi galanti; infatti, nel Pericolo, egli esprime con ironia il timore di cadere vittima dell’innamoramento nei confronti di Cecilia Tron, affascinante veneziana della quale descrive anche le sensuali fattezze. Ciò lascia dunque intendere che, per quanto poco conformi al dovere morale, le donne siano considerate, nei testi di Parini, quasi un balsamo per l’anima dell’uomo; notiamo, nell’ode Il dono, come alla donna sia attribuito un valore vivificante, in grado di lenire gli affanni dell’uomo.
Anche nella rappresentazione teatrale “La Locandiera” di Carlo Goldoni, del 1752, si evince come la protagonista incarni perfettamente l’ideale del tempo della donna sempre più avvenente, affascinante, emancipata, e talvolta persino sfacciata. Dunque Mirandolina, astuta locandiera dell’opera goldoniana, non può essere considerata “anticipatrice del femminismo”, in quanto incarna sì la figura del commerciante imprenditore, in grado di gestire e far fruttare la propria attività, cosa che può essere intesa da molti come primo segnale dell’emancipazione della figura femminile, ma è pur vero che la locanda di Mirandolina è frequentata non per la cura che quest’ultima ne ha, ma per l’avvenenza della padrona che attira i clienti.
Gli stessi critici hanno parlato, infatti, di “falso femminismo”, in quanto Mirandolina può essere descritta come un “Don Giovanni in gonnella”, in quanto la corte a lei fatta dagli uomini la lusinga, facendole credere, a ragione, di poter disporre dei loro sentimenti a suo piacimento, essendo ben consapevole delle proprie capacità seduttive. Ella non può dunque definirsi femminista, in quanto l’opportunismo delle sue azioni è ben più evidente, dal momento che non perde occasione, nonostante riconosca in prima persona il divario sociale tra lei e i nobiluomini che la corteggiano, per tendere loro inganni, come con il Cavaliere, finendo, tuttavia, per sposare il cameriere Fabrizio.
Notiamo, inoltre, l'importanza della rinnovata considerazione della donna tra Seicento e Settecento da parte degli autori dei secoli successivi, grazie al chiaro riscatto e alla rivalutazione che essa ha nelle loro opere, essendo esse rappresentate con maggiore lucidità dal punto di vista storico. Le donne descritte hanno, dunque, caratteristiche verosimili alle reali figure femminili, come, ad esempio, Lucia ed Agnese ne I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, che incarnano la realtà della condizione femminile del tempo, donne molto religiose e devote alla cura del focolare domestico; un altro esempio è la figura di Marianna Ucrìa, protagonista del romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini, povera donna sordomuta che, pur conducendo una vita nobiliare, è tenuta alla condizione di sottomissione alla quale erano soggette tutte, o quasi, le donne, nell’ambiente gretto e omertoso della Sicilia del tempo.
Tale condizione di sottomissione era, infatti, rigidamente rispettata, in quanto bastava anche un solo gesto considerabile ambiguo o bizzarro, perché la donna fosse accusata di stregoneria e arsa sul rogo, come succede ad Antonia, protagonista del romanzo La Chimera di Sebastiano Vassalli, la cui ingenuità e purezza vengono considerate anormali dalla comunità, al punto tale da costarle la condanna alla morte con l’accusa di stregoneria.
Alessandra Michea, IVBU Liceo Bianchi Dottula - Bari