Non c’è opera che non rievochi la rappresentazione dell’universo femminile e questo perché costituisce una figura emblematica capace di rappresentare il contesto storico e sociale di un’epoca. Ciò è valido per il XVII e il XVIII secolo, lassi temporali delicati in quanto caratterizzati da instabili equilibri tra le grandiose scoperte del Rinascimento e i rivoluzionari mutamenti dovuti all’Illuminismo. Compiamo dunque questo percorso alla scoperta della figura femminile partendo dall’età Barocca per giungere al coevo e la metamorfosi che ha subito in questa “evoluzione”.
La battaglia della Chiesa Romana contro la Riforma Luterana porta a limitare la libertà individuale per mezzo di strumenti repressivi utilizzati per rispettare i dogmi ed affermare la propria ortodossia. Tali metodi vengono perseguiti anche nel corso del Seicento, legato al controllo totale di tutti gli ambiti culturali da parte della Chiesa di Roma. In una situazione di “chiusura” totale e di scetticismo, non sorprende affatto il ruolo marginale che la donna è costretta a rivestire, incatenata nelle mura domestiche o clausura dei conventi. Quest’ultimo aspetto trova un riscontro letterario nella riproduzione convenzionale/stereotipata ad essa associata nella cultura letteraria, in modo tale che il poeta possa riprendere, distanziandosene, il modello petrarchesco, dando quindi libero sfogo ai caratteri bizzarri dell’arte barocca, come accade all’antesignano Giovan Battista Marino nel sonetto dedicato ai suoi biondi capelli. Di rilievo emergono le protagoniste delle tragedie di Federico Della Valle con “La Reina di Scozia, Judit ed Ester”; tre individui deflagrati da una condizione di prigionia, sia essa reale o metaforica. Prevale in queste circostanze il sentimento religioso, vissuto con passione ma al tempo stesso caratterizzato dal tormento di morte/sofferenza, simbolo di fragilità umana, realistiche e dunque meno conformiste. Questo nuovo modello settecentesco è ben presente anche negli scritti di Giuseppe Parini, che nel “Giorno” descrive e condanna con tono satirico i vizi e i malcostumi di una classe nobiliare corrotta dalle troppe agiatezze e si riscontra un’immagine frivola che si rifà alla toilettatura e specchio, una donna che balla e partecipa agli incontri mondani, è superficiale; tanto che viene sempre accompagnata dal primo mattino fino alla tarda sera dal cosiddetto “cicisbeo”, un uomo che si occupa di tutte le attività riguardanti la dama in questione e che riceve dal marito, padre o fratello della stessa il permesso di accedere nelle stanze private durante il trucco e la vestizione. Quanto detto a proposito della possibilità, insita nel genere teatrale, di definire in maniera più approfondita il carattere dei personaggi, vale ancor più per la commedia, genere da sempre maggiormente legata alla concretezza della società. È il caso della “Locandiera” di Carlo Goldoni, la più famosa e rappresentata del teatro italiano. Scritta nel 1752 e messa in scena per la prima volta nel 1753 dalla compagnia di Girolamo Medebach al teatro Sant’Angelo. Come protagonista di primo piano appare Mirandolina, simulacro dotato di intelligenza e con riscontrabili elevate capacità seduttive, proprietaria di una locanda e corteggiata da tutti gli ospiti. Ella costituisce un’evoluzione della tradizione, è una donna borghese, grande affarista e punta su sé stessa mantenendo la dignità in quanto appetibile al pubblico gradatamente. Investe poco e solo sul Cavaliere, per una motivazione narcisistica e di vittoria personale in quanto quest’ultimo assume un comportamento avverso nei confronti delle donne. Mirandolina personifica la donna in evoluzione economica, tanto che investe su sé stessa in modo del tutto divergente dal “Decameron” di Giovanni Boccaccio di contesto storico collocabile nel 300’, in cui la figura femminile costituisce il pubblico. A partire da questa provocatoria messinscena, si moltiplicano le interpretazioni critiche: Mario Baratto, in una ripresa da Guido Davico Bonino, Roberto Alonge e altri studiosi scendono in profondità psicologica individuando un falso femminismo e un senso accentuato di narcisismo. Era atipico osservare fanciulle che gestivano un’attività economica e ciò implica dei passi in avanti. Le donne di quest’epoca troveranno una forma di riscatto nell’anonimato solo in opere letterarie di periodi successivi, capaci di rappresentare la realtà con maggiore libertà d’espressione e con più acuta lucidità storica. L’esempio più illustre è la figura di Gertrude, la monaca di Monza dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, romanzo ambientato nel XVII secolo, ma scritto nell’Ottocento. L’ansia di ricerca del vero storico da parte dello scrittore offre inoltre ai lettori una fedelissima ricostruzione delle condizioni della donna anche nei ritratti delle altre figure femminili. Sono, ad esempio, verosimili i personaggi di Agnese e di Lucia, poichè, a differenza delle donne appartenenti alle famiglie benestanti, obbligate a vivere recluse in casa o in convento, quelle del popolo erano costrette a lavorare per guadagnarsi da vivere e per potersi costruire una dote. Per il resto le madri si dovevano occupare dell’educazione, soprattutto religiosa, dei figli e d’altronde al contempo queste ultime si dovevano mostrare rispettose nel segno dell’obbedienza e della remissività. Qualunque deviazione della norma veniva severamente punita dal duro codice di comportamento che il più delle volte giungeva alla condanna a morte per “stregoneria” in quando considerate “strane”, “diverse” perché non in linea con le ferree leggi imposte. Emblematico è il romanzo “La Chimera” del contemporaneo Sebastiano Vassalli in cui la protagonista Antonia, per la sua ingenuità viene giudicata “anomala” e costretta a bruciare sul rogo. Ma anche “La lunga vita di Marianna Ucria” di Dacia Maraini, storia di una donna che perde l’uso della parola in seguito al trauma di una violenza subita da bambina, costretta a sottomettersi al matrimonio precoce relativamente allo zio, in cui vige il mutismo ovvero allegoria dell’ossequio cui è soggetta tra Seicento e Settecento. Gli altri personaggi femminili sono generalmente esclusi dalle attività lavorative e per questo hanno bisogno di un marito, tanto che per conquistarlo sono disposte a dissipare le rivali. A tale proposito, questo aspetto rispecchia esattamente Eugenia, tiranna de “Gli Innamorati”, gelosa delle attenzioni che il futuro sposo Fulgenzio dedica alla cognata Clorinda, spesso si traduce in gesti di piccole rivalse verso il fidanzato e rappresenta il tentativo di ottenere almeno sul piano sentimentale il controllo che le sfugge sul versante economico (Fulgenzio è un ricco mercante).
Ciò si ricollega all’attualità: esistono zone del mondo, in Oriente, in cui la donna è considerata ancora come un oggetto e non ha libertà come le altre Occidentali. Ad esempio in Iran e in altri Paesi Orientali la donna è costretta a indossare capi che le coprono il volto e non può uscire o guidare se non accompagnata dal proprio marito; non di minore efficienza risultano anche le frasi sessiste orientate alla donna di colore, vicepresidente degli Stati Uniti. Un altro esempio è Giovanna D’Arco, che durante la Guerra dei Cent’anni combatté in difesa della Francia. Ma che fu condannata con l’accusa di eresia. Noi giovani sogniamo un futuro dove non c’è distinzione tra uomo e donna; per questo invitiamo tutti a riflettere su questa inesistente disuguaglianza. Loro saranno ancora mogli, madri, sorelle , compagne, ma sono persone, con dignità ed autonomia, capaci di pensare e dialogare. Non vogliono sostituirsi all'uomo, ma camminare insieme, senza nessuno che comandi e nessuno che obbedisce.
Marika Mazzone IVBu, Liceo Bianchi Dottula - Bari
La donna e l'universo femminile in letteratura
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