IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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La vita di Manfredi, reggente della Sicilia e dell’Italia meridionale, è stata costellata da azioni deplorevoli ed immorali, peccaminose al punto tale da macchiare la sua anima in modo indelebile, sino al suo pentimento, in punto di morte. Il dominio del Regno di Napoli lo portò ad un conflitto di tipo politico, ma anche religioso,  con la Chiesa, in particolare con Papa Innocenzo IV, legittimo erede del possedimento, in quanto tutore di Corradino, figlio di Corrado IV dalla Germania, nonché nipote di Manfredi.
La scomunica da parte della Chiesa lo espose ad un grave rischio, la battaglia contro Carlo d'Angiò, e fu proprio a Benevento, luogo dello scontro, che Manfredi fu sconfitto, trovando la morte: il colpo mortale gli fu inferto, infatti, dallo stesso sovrano. Essendosi pentito in fin di vita, chiedendo perdono a Dio per i peccati commessi, per Dante il luogo adeguato dove “sostare” in attesa del giudizio divino è l’Antipurgatorio, insieme ad una serie di anime negligenti, anch’esse “sporche” in vita ma, come lui, pentitesi poco prima di esalare il loro ultimo respiro terreno.
Nel III canto della II cantica del Purgatorio egli lo incontra, insieme a Virgilio, ma non riesce a riconoscerlo, finchè Manfredi stesso non mostra ai due visitatori la ferita mortale che ha sul petto, ancora vivida come fosse stata appena inflitta, essendo le anime, fino al giorno del giudizio, ancora “imprigionate” nei loro ormai fatiscenti corpi terreni, senza poterli abbandonare, in molti casi feriti e martoriati.
Manfredi appare, dunque, rassegnato all’idea di dover scontare in quel luogo angusto il suo castigo per lunghi anni ancora, prima di poter varcare le celestiali porte del Paradiso, per concessione divina, ma dalle sue parole traspare, seppur velata, la riconoscenza nei riguardi del Signore, che gli ha risparmiato l’eterna pena tra le abominevoli torture infernali, come un servo che china la testa dinanzi alla volontà del suo padrone. Ha una sola richiesta per il nostro Dante, quando viene a sapere della sua possibilità di tornare nel mondo terreno, in quanto umano: egli chiede di comunicare la salvezza della sua anima alla figlia Costanza, in pena per lui, in quanto pentitosi negli istanti antecedenti al suo arrivo nell’Antipurgatorio.
La figura di Manfredi ci viene descritta da Dante come l’ideale incarnazione della figura del cavaliere, in quanto uomo di bell’aspetto, nobile e disposto ad affrontare la battaglia pur di preservare il buon nome della propria dinastia.Narrando la sua storia, Dante vuole esaltare la figura del cavaliere, massima aspirazione di raggiungimento dell’ideale modello civile e comportamentale del tempo.L’intento dantesco è quello di riaffermare la figura di Manfredi, avvalendosi della supremazia della clemenza divina, unico vero perdono valido nel mondo ultraterreno, superiore alle congetture popolane e alla condanna della Chiesa, la cui intransigenza è segno di presunzione, in quanto la Chiesa in terra, condannando Manfredi alla scomunica, ha imposto il proprio potere sulla vita di un uomo, anteponendolo al volere divino, compiutosi ugualmente nell'aldilà, e appropriandosi, dunque, di un diritto appartenente a colui che è l’unico e il solo a poter disporre della vita, e allo stesso modo della morte, di qualsivoglia essere terreno.
Viene investita di onori e glorie la figura della madre di Federico II, Costanza d’Altavilla,  beata tra le anime del Paradiso, a differenza di Federico stesso, non nominato nel Purgatorio, estremamente peccatore e, in quanto tale, anima dannata per epicureismo, condannata a scontare la propria pena tra le fiamme dell’Inferno. Dunque, nel canto dantesco vengono restituiti onore e sacralità alla stirpe dei regnanti di Sicilia, mediante la salvezza ed il perdono dell’anima di Manfredi, il quale, per benevolenza divina, potrà avvicinarsi sempre più al Paradiso, anche grazie alle preghiere della figlia Costanza, donna credente e devota.
Alessandra Michea - Liceo “G. Bianchi Dottula” Bari – classe 4^BU Scienze umane

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