La scienza stessa non sussisterebbe senza la bellezza. Bellezza, la qualità capace di appagare l'animo attraverso i sensi, divenendo oggetto di meritata e degna contemplazione.
In filosofia la bellezza è spesso abbinata al concetto di vulnerabilità, questo perché è un concetto diverso da quello che concepiamo noi oggi.
La bellezza è spesso intesa nella sua percezione nell’arte classica: artisti come Michelangelo, rappresentano l’opera d’arte come proporzionata nelle varie parti del corpo, ordinata, armoniosa. Tutti concetti riconducibili alla parola “Kosmos”. Con tale termine in filosofia s'intende un sistema ordinato o armonico. L'origine della parola è il greco kósmos che significa "ordine", ma anche “cosmo”, infatti nella Grecia antica tutto ciò che era perfetto era ritenuto bello.
Rispetto alla prospettiva classica, l’arte del Novecento sembra tornare indietro, abdicando al razionalismo ordinato dalle forme e alla logica dell’armonia, scegliendo piuttosto di de-strutturare il segno artistico. Un passaggio che indica il cambiamento di preferenza da una “bellezza forte” a una “bellezza vulnerabile”.
Bellezza vulnerabile, una bellezza ricollegabile a una ferita, un taglio: una bellezza lontana dal concetto di moda, di classicità, che potrebbe essere in relazione con una bellezza etica, con quella politica o sociale, come se fosse intesa come un antidoto alla bruttezza dell’ingiustizia, della disuguaglianza e della malvagità.
Potremmo affermare che l’arte può essere rivelazione della verità. Martin Heidegger, nella sua opera “L’origine dell’opera d’arte”, risalente al 1950, afferma che l’arte si esprime nel suo storicizzarsi, e che per questo ha una caratterizzazione storica e politica, collegabile a sua volta ad una natura di protesta. Si inaugura un nuovo linguaggio astratto, nel quale si rintraccia la capacità di recuperare quei segni e quei colori che esprimono una rinnovata condizione umana.
Il caso di Emilio Vedova è singolare in quest’ottica, poiché esercitando un’attività artistica impegnata, fautrice di rinnovamento, trova le sue radici nella partecipazione attiva alla vita politica e civile. La nuova responsabilità dell’artista contemporaneo deve trovare nell’arte un significato nuovo, un riscatto e una nuova libertà.
Altro caso interessante è quello di Alberto Burri, la cui arte costituisce uno degli esempi più significativi di Informale del secondo dopoguerra, tra gli artisti materici più importanti al mondo. Un’arte, che rinunciò alla tradizionale nozione di “bella pittura”, abbandonò l’antico strumento del colore ad olio, adottò materiali poveri rivestendoli di valenze esistenziali. Burri abbraccia l’arte come forma di riscatto, come atto etico di resistenza e sopravvivenza, ricollegabile sia al momento storico che stava attraversando, sia alla necessità di protesta, ma anche a un cambiamento radicale nel concetto di bellezza, che non è più collegata al concetto di piacere, ma di vulnerabilità della vita umana.
Infine potremmo citare Lucio Fontana, forse il miglior esempio di vulnerabilità in quanto la sua arte si esprime attraverso la ‘forma’ dei tagli. Il taglio di Fontana è una ferita, uno squarcio. La si può anche interpretare come metafora dell’imperfezione di una cicatrice, che nel raccontare la sua storia, rappresenta la bellezza ‘debole’, opposta a quella ‘forte’, ma che ne ricalca i principi in una visuale completamente diversa.
Con la bellezza, si può fare la rivoluzione.
Amanda Di Ronzo – Liceo “G. Bianchi Dottula” Bari – classe 4^BU Scienze umane