Nel 1971 uscì nelle sale un film dal titolo: La classe operaia va in Paradiso, diretto e scritto dalla mente impavida di Elio Petri e magistralmente interpretato dall’eclettico Gian Maria Volonté. A tutto ciò si aggiunga; lo sfondo musicale ben intessuto dal maestro Ennio Morricone e si otterrà una pietra miliare del cinema italiano. Il film segue le vicende di “Lulù” Ludovico Massa, un operaio trentunenne con due famiglie da mantenere (una formata dall’ex moglie e il loro figlio, e l’altra della sua nuova compagna e il figlio di lei). Il signor Massa è un fedele sostenitore del lavoro a cottimo e dello stakonivismo, che adopera concitatamente ogni giorno della sua misera esistenza. La sua, è una vita in cui alberga un costante senso di apatia nei riguardi della cura del suo essere; Lulù non riesce più ad avere rapporti sessuali con sua moglie né ad intrattenere delle relazioni sociali al di fuori dell’ambiente lavorativo. Ludovico è chiamato ad istruire i neo-operai, infatti la sua integrità a lavoro, lo rende un esempio tanto mirabile da essere indottrinato agli altri. Ciò che a detta di Lulù, distingue un gran lavoratore da uno mediocre, è: la velocità con cui esegue le sue mansioni. Ed è infatti, proprio questo che insegna ai nuovi lavoratori. “Qui dentro sono tutti in corsa”, frase pronunciata dal nostro protagonista, che si impone come Manifesto dei lavoratori del XX e XXI secolo. Il punto di svolta per Lulù sarà un incidente che inciderà irrimediabilmente nella sua vita: la perdita di un dito, tranciato da un macchinario con cui stava lavorando. Da quel momento in poi, Ludovico sentirà la necessità di manifestare i suoi diritti affianco dei suoi compagni, che meglio di chiunque altro conoscono la sofferenza della condizione in cui vive. Tuttavia, al protagonista viene inferta un’ennesima stoccata, la più violenta, quella che gli farà perdere il senno. Improvvisamente, Lulù viene abbandonato dalla sua compagna, licenziato dal lavoro, senza il minimo supporto né degli studenti sindacalisti né dei suoi colleghi. Ormai, scevro di qualsiasi ragione per continuare a vivere, decide di andare a trovare un suo ex collega: Militina, un uomo malato del suo stesso male: il servilismo al lavoro, per questo rinchiuso in un manicomio. Durante questa visita Lulù capisce che la sua inossidabile vocazione lavorativa, gli ha arrugginito la ragione. Grazie alle strenue lotte dei suoi colleghi, Ludovico riottiene il lavoro. Il film si conclude con il protagonista che racconta ai suoi compagni di un sogno profetico: gli operai insieme riuscivano ad abbattere il muro che li separava dall’ingresso del paradiso. La classe operaia era finalmente andata in Paradiso. Quello sopracitato, può sembrare agli occhi di una società liquida e superficiale, un racconto desueto e lontano dagli accadimenti del nostro tempo. Eppure, più il tempo passa più l’uomo diventa alieno a se stesso. Uno sconosciuto che abita un corpo come fosse un luogo a sé stante, che passeggia senza capire dove i suoi piedi lo stiano conducendo. Da essere motivo di affermazione personale, il lavoro si è convertito in una vetrina dove esibire i propri averi all’acquirente più generoso. Operatività fa rima con velocità, mai con dignità.
La narrazione della Classe operaia va in paradiso è perfettamente e tragicamente coniugabile al calvario che ogni giorno devono sostenere i dipendenti di Amazon e di Food delivery. La schiavitù esiste tuttora, nel ventunesimo secolo e soprattutto nell’Occidente, simbolo di ricchezza e democrazia. Ma non solo, riceve consensi da tutta la popolazione che ne usufruisce quotidianamente e senza remore. I perpetuatori di una politica priva di umanità e dignità, sono tutti gli utenti che premono il tasto invio. Un click è il detonante di una serie ciclica e certosina di pratiche disumane ai danni dei lavoratori. Recentemente, un’inchiesta del New York Times ha denunciato e documentato tutti gli abusi subiti dagli operatori Amazon. Appena giunti alle porte dell’azienda; devono dimenticare le loro abitudini che hanno appreso svolgendo altri lavori. A questo si somma il fatto che i dipendenti vengono costantemente monitorati ed invitati a fare meglio. I fanciulli che non riescono a sostenere il ritmo di 80 ore settimanali vengono immediatamente spediti al mittente, licenziati. Il miliardario Jeff Bezos, fondatore dell’impero Amazon nega tassativamente che ci siano stati maltrattamenti nei confronti dei suoi adorati burattini. Inoltre aggiunge che: ”non lavorerebbe mai per un’azienda che tratta così i suoi dipendenti”. Le sue affermazioni sono state smentite dai tanti scioperi indetti dai lavoratori sparsi per il mondo. Già uno scandalo di una facchina in Pennsylvania aveva fatto eco anni prima, la donna dopo essersi licenziata si è ridotta in povertà e nonostante ciò ha dichiarato che: “meglio senzatetto che lavorare per Amazon”, ha aggiunto che durante la sua permanenza ha dovuto ottemperarsi a: turni estenuanti, sorveglianza compiuta dai suoi stessi colleghi e mancanza di aria condizionata in spazi dove l’aria si fa rarefatta e le temperature sono insopportabili.
Di recente, è trapelata una lista in cui è messo nero su bianco il regolamento al quale devono sottostare i dipendenti. La dura strategia Amazon si impernia essenzialmente sulle basi di tre regole auree: l’ossessione del cliente, secondo la quale i lavoratori devono fare tutto e più di tutto ciò che è in loro potere per esaudire le richieste dei clienti, la seconda è rappresentata dal senso di responsabilità, ogni avversità è imputabile unicamente all’operaio mai al cliente. La terza:” La velocità è ciò che conta “, per questo motivo i lavoratori sono cronometrati persino quando si recano in bagno. Amnesty International ha definito il comportamento del colosso statunitense volto ad ostacolare i diritti dei lavoratori a dibattere di idee discordanti da quelle del grande dirigente, investendo ingenti risorse nel controllo della presunta minaccia di una loro potenziale attività sindacale. E venuta alla luce una nota interna all’azienda che conteneva piani di investimento per centinaia di migliaia di dollari, destinati al monitoraggio delle attività sindacali attraverso un sistema tecnologico “geoSpatial”, in grado di infiltrarsi nelle chat e nelle pagine social della persona agganciata. Per irretire i lavoratori verso una produttività più rigorosa, Amazon ha promosso una competizione tra dipendenti dove i vincitori verranno premiati con un Bonus in grado di far lievitare lo stipendio del 6 o 10 %; a condizione di un numero di assenze pari a zero e una condotta lavorativa inattaccabile. Quasi un anno fa, a Firenze la Cgil insieme ai lavoratori ha protestato a voce unanime contro l’ingente ed indignitoso livello di consegne che giornalmente devono sobbarcarsi i rider Amazon e di food delivery. Un carico di 150-160 consegne al giorno che significa una consegna ogni tre minuti, con un ritmo di 200 km/h. La velocità con cui dipendenti devono esaudire le nostre richieste è indirettamente proporzionale alla loro sicurezza.
Occorre riflettere sul concetto di “comodità personale” trasformatosi in una futile giustificazione alla mancanza di dignità nei confronti dell’altro. La verità, è che l’uomo moderno, millantatore e propugnatore di libertà e uguaglianza ha sancito una divisione ancora più netta tra serviti e servitori. A spiegazione di ciò c’è l’imperiosa necessità di essere ovunque e dappertutto, di non limitarsi a vivere una vita, ma volerne esplorarne quante più possibili. Il mondo gira vertiginosamente obbligando chi vuole esserne parte integrante a costringere i suoi fratelli meno abili in surrogati delle proprie mansioni giornaliere. Mansioni come: andare al ristorante, fare lo spesa, andare a ritirare un pacco alle poste o addirittura guidare; che sottrarrebbero tempo alla sua ricerca di credibilità, affermazione e fama. Un dato dovrebbe turbare ed indurre ad una riflessione congiunta: l’atrofizzazione e liquefazione dei piccoli gesti della quotidianità a cosa porterà? Molto probabilmente, a lungo termine, l’umanità smettere di pensare come unità, sgretolandosi in una serie di pezzi incongiungibili e distanti, incapaci di convergere in un vertice di comune speranza. Forse, si imparerà un nuovo modo di essere al mondo. Non più come platea fremente che lo spettacolo della vita si compia davanti ai propri occhi, ma come attori di una messa in scena senza una naturale scenografia, ormai sbranata da anni di violenza e indifferenza alla stessa. Essere umani si rivela complesso, una parte troppo credibile da recitare alla perfezione. L’ordine è quello di correre verso una meta sconosciuta, voltarsi indietro e volgere uno sguardo ad un altro concorrente è un comportamento da ritenersi deprecabile, e che si traduce in squalifica. Per capovolgere la clessidra, servirebbe un atto emblematico nella sua potenza. Un big crunch che fermi le lancette del tempo e della Storia riportando l’uomo alla fonte delle sue origini. Forse, allora ricomincerà il suo viaggio sulle frequenze della dignità umana e non della conveniente schiavitù.
Maria Lisa Fiore - classe 5^AL Liceo Linguistico "Bianchi Dottula" Bari