Ogni persona è differente da un'altra non solo per esperienze individuali diverse, ma anche a causa dei beni che possiede e delle risorse sociali a cui accesso. Questa condizione di disparità può essere considerata una delle ragioni scatenanti il conflitto sociale.
Per Marx la conflittualità è riconducibile alla lotta tra la classe capitalista, che detiene i mezzi di produzione, e il proletariato che non possiede nulla se non la capacità di lavorare, la forza lavoro propria e dei propri figli, della prole appunto.
Il fenomeno della conflittualità si verifica a causa di differenze di reddito, status ed etnia.
Il culmine del conflitto sociale avviene nel momento in cui un individuo o gruppi di individui sono in contrasto con la società nel suo complesso, infrangendo, con i loro comportamenti le norme sociali.
Il vertice della conflittualità prende il nome di devianza. I comportamenti devianti in sociologia devono essere rapportati sempre al contesto sociale e alla situazione storica del momento, per questo il fenomeno della devianza è sociologicamente definibile soltanto in termini relativi.
La conflittualità è stata analizzata da differenti sociologi, tra i quali ricordiamo Emile Durkheim, uno dei principali esponenti del cosiddetto “paradigma della struttura”. La conflittualità deriverebbe, secondo il sociologo francese, da quel fenomeno sociale definito “anomia" e che letteralmente significa “assenza di norme”. Anomici non sono gli individui, ma la stessa società che, a causa di particolari congiunture storiche, caratterizzate da rapidi e radicali cambiamenti, non è più in grado di contenere le passioni individuali e di orientare i comportamenti dei singoli.
Secondo Durkheim, si assiste al fenomeno della devianza, quando la coesione sociale viene meno.
Un'altra prospettiva che si è interessata in particolar modo al fenomeno della devianza è la labeling Theory.
La labeling Theory, ovvero la teoria dell'etichettamento, studia i processi di attribuzione o di stigmatizzazione che l'individuo può ricevere nel momento in cui compie un atto, definito dalla società in cui vive, deviante.
I sociologi più significativi, che hanno adottato le prospettive dell’etichettamento, focalizzando le loro analisi su questa tematica sono Becker e Lemert.
Lemert Individua la devianza primaria, facendola corrispondere al momento in cui un individuo compie per la prima volta un atto “deviante”, Successivamente subentra il processo di stigmatizzazione, quindi l'individuo viene “etichettato” come deviante, infine, Lemert introduce la devianza secondaria. essa è una conseguenza del processo di attribuzione e, l'individuo viene allontanato dalle persone definite “per bene”, per questo, avvicinandosi a persone “devianti” incomincia a compiere anche lui atti “devianti”.
Becker introduce il termine “carriera deviante”. Egli fa riferimento al comportamento che la società adotta nel momento in cui un individuo compie un atto considerato deviante.
Egli sarà allontanato ed emarginato dalla società e per questo si ritroverà in una situazione tale da autoconvincersi di essere un deviante e di conseguenza tenderà a compiere atti non conformi alle norme sociali.
Il fenomeno della conflittualità può verificarsi anche a causa della differenza di etnia.
La parola etnia ha avuto una pluralità di significati.
È un termine usato spesso nell'ambito politico e giornalistico: “etnico”, “identità etnica” ...
Durante il periodo coloniale la parola “etnia”, all'inizio indicava gli aspetti fisici, usi e costumi, lingua e religione che accomunavano un determinato popolo.
Gli studiosi contemporanei, appartenenti alla cosiddetta antropologia post-coloniale, come Fabietti, Amselle e Barth, hanno operato una sorta di “decostruzione” del termine, ritenendo che l’originale significato di etnia fosse uno strumento ideologico, teso a giustificare l’ “azione civilizzatrice” dei colonizzatori che, partendo da differenze fluide e non sempre evidenti, imposero alle popolazioni assoggettate distinzioni nette e classificazioni etniche, inesistenti nel periodo pre-coloniale.
Il conflitto avvenuto in Ruanda fra Hutu e Tutsi è stato in gran parte una conseguenza della dominazione belga. I Belgi definirono i pastori Tutsi come soggetti nati per governare, e gli agricoltori Hutu, come individui più semplici, meno capaci e naturalmente sottomessi.
Nel periodo della decolonizzazione, queste differenze erano ancora presenti, tanto da innescare un conflitto etnico che causò 800.000 morti.
Questo ci fa capire che i colonizzatori, cercando di legittimare ideologicamente la propria azione “civilizzatrice” in questi popoli, hanno imposto una realtà artificiosa all'interno di un contesto sociale fluido.
Giovanna Romano VBU, Liceo Bianchi Dottula - Bari