La Russia, in seguito a numerose carestie, all’usurante politica zarista e alle conseguenze che provocò l’entrata nella Prima Guerra Mondiale, fu fortemente debilitata dal punto di vista economico. In quel contesto così teso, si sviluppò “La Rivoluzione d’ottobre”, ovvero un’insurrezione di massa che coinvolse l’intera popolazione russa, facendo eco sino ai confini dell’Europa.
La figura che rese possibile tale avvenimento fu il carismatico e intraprendente rivoluzionario Lenin, che si schierava apertamente in difesa delle sempre più insoddisfatte classi del proletariato. Tuttavia, il programma riformista di Lenin non trovò mai riscontro nella classe dirigente russa, che si sentiva osteggiata dall’embrione rivoluzionario piantato dal numero uno dei Bolscevichi e per questo motivo non riuscì ad attuarsi interamente.
Per delineare la complessa vicenda rivoluzionaria, è imprescindibile ripercorrere le tappe storiche che hanno pian piano definito gli esiti della Rivoluzione Russa. Un primo segnale di ribellione arrivò agli albori del 1905 a San Pietroburgo, a causa dell’iniziativa dello zar Nicola II che però non era condivisa dal popolo, ossia: schierarsi in guerra contro il pericoloso Giappone. L’umiliante sconfitta che la Russia dello zar riportò in territorio nipponico fu la miccia che innescò un incendio di indomabili proteste, risentimenti intestini nei confronti dello zar e un malcontento diffuso, che di lì a poco sarebbe sfociato in tragedia.
Fu il proletariato, la classe più povera di averi ma ricca di ideali, a mettere in atto le copiose proteste contro lo zar, ripartiti in soviet: consigli di operai e contadini con a capo i socialdemocratici, divisi in una minoranza moderata(menscevichi) e una maggioranza marxista (bolscevichi), guidata da Lenin. Le crescenti pressioni esercitate dai soviet costrinsero lo zar ad accettare l’insediamento della Duma (parlamento russo).
Giunti a questo punto, è naturale chiedersi come sia stato possibile un tale capovolgimento di schema da parte della classe dirigente russa, piegata irrimediabilmente dalle spinte del proletariato. Lo chiarisce in maniera esatta William Henry Chamberlin in “Storia della rivoluzione russa”: la prima causa è l’incapacità del governo zarista, manifestatasi non solo politicamente o economicamente, ma anche a livello sociale. Lo zar aveva infatti fortemente represso le classi medie e la parte intellettuale e attiva della popolazione, dando vita ad un’ostilità soffocante. Il secondo fattore decisivo è l’entrata nel primo conflitto mondiale della Russia che mise a dura prova la popolazione togliendo uomini per coltivare la terra e causando una povertà dilagante. Si diffuse quindi il bolscevismo, che si tradusse in un livellamento sociale (l’eliminazione dei Romanov, simbolo dell’aristocrazia e autocrazia, fu una svolta decisiva in questo processo) ed nel desiderio di una ripresa economica.
Infatti, l’errore madornale e con conseguenze esiziali che commise lo zar Nicola II, fu quello di sottovalutare l’inefficienza e la disorganizzazione del proprio esercito quando dichiarò guerra alla Germania. Il malcontento si trasformò in uno sciopero popolare che congelò San Pietroburgo, portando all’abdicazione dello zar in favore di suo fratello Michele, che però rifiutò l’incarico. In una situazione così precaria, Lenin, di ritorno dall’esilio svizzero, espose nelle celebri Tesi d’Aprile una nuova linea politica. Le Tesi sono una pietra miliare della storia russa, perché davano inaspettatamente manforte alle idee della minoranza interna di sinistra. Secondo Lenin per porre fine alla guerra bisognava abbattere il capitale: così facendo si sarebbe dovuti passare direttamente da una rivoluzione borghese a una proletaria attraverso l’alleanza dei contadini. Come era possibile un tale ribaltamento? Dando potere al proletariato e ai contadini, negando l’appoggio al governo provvisorio, attivando un processo di nazionalizzazione delle terre e controllo della produzione da parte dei soviet, ponendo le basi strutturali e ideologiche del neopartito comunista.
Il ritorno di Lenin fu decisivo affinché gli avvenimenti si seguissero consequenzialmente, come tessere di un domino. Fu così che il 7 Novembre i bolscevichi invasero e occuparono il Palazzo d’Inverno proclamando l’inizio della Repubblica Sovietica e la fine della guerra. Ne consegue l’introduzione del suffragio universale e la creazione un’Assemblea costituente che tuttavia si rivelò una sconfitta per i bolscevichi.
L’agognata vittoria dei bolscevichi avvenne solo tre anni dopo con la vittoria della guerra civile da parte dell’Armata rossa(bolscevichi) contro quella bianca (menscevichi). Nonostante Lenin avesse acquisito il potere necessario a instaurare delle riforme economiche, lui stesso dovette soccombere ai detriti che la Guerra civile aveva disseminato nella popolazione russa. Non potendo imporre il programma di statalizzazione integrale, Lenin impose la Nuova Politica Economica (NEP), una strategia più moderata che consentiva ai kulaki (contadini benestanti) di conservare una parte preziosa della loro libertà, lavorando e vendendo per trarre profitto. Questa tattica sapientemente adoperata da Lenin corroborò sensibilmente l’economia russa.
Il possibile dilagare degli ideali comunisti russi intimoriva un’Europa che affidava al rigore monarchico la sua stabilità. A fronte di ciò, Kerenskij al fianco dell’Intesa cercò di mitigare la crescente paura che montava in seno al vecchio continente. Al contrario, la politica leniniana impose come suo tratto distintivo l’espansione degli ideali comunisti fuori dalle mura della Russia, in virtù di uno sconvolgimento dei labili equilibri europei. Nonostante le vere origini del comunismo risalgano all’ideologia di Marx, l’attuazione del suo disegno ideologico è stata ben diversa da come egli aveva immaginato. Uno dei perni della campagna marxista era l’affermazione che il socialismo si stabilisce più facilmente là dove è più sviluppato il capitalismo. Secondo Marx, dunque, in Paesi come gli Stati Uniti o l’Europa Occidentale il comunismo sarebbe sorto con meno difficoltà per opporsi all’oppressione capitalista. Al contrario, la strategia adoperata da Lenin si rivelò vincente: dove il capitalismo era più debole, il comunismo avrebbe attecchito più facilmente. Infatti, gli intellettuali marxisti erano pervicacemente convinti che l’Occidente fosse ancora un territorio acerbo per l’insediamento del pensiero bolscevico in quanto ancora troppo capitalista.
Il progetto di Marx ed Engels si rivelò velleitario in quanto realizzabile soltanto a livello teoretico. Il comunismo è ideologicamente una forma di pensiero che professa l’uguaglianza interclassista. L’insuccesso del comunismo come democrazia affonda le sue radici nella modalità in cui fu imposta nella Russia leniniana del 1921, poiché in favore di un consenso maggiormente diffuso, le classi dirigenti dovettero soffrire l’instaurazione del regime comunista. Secondo il leader bolscevico, la maggioranza elettorale non rivestiva un ruolo così importante: il regime in atto doveva rispecchiare i bisogni più urgenti del proletariato. Non era quindi fondamentale avere la maggioranza. Di conseguenza, fu necessario imporre l’ideologia comunista che si presentò come una vera e propria dittatura a discapito della volontà generale, questione ben tratteggiata da C. Pinzani ne , Il secolo della paura: Breve storia del Novecento.
In conclusione, abbiamo appurato che l’ideologia embrionale del comunismo non trova via di realizzazione: quella che viene messa in atto è una storpiatura dittatoriale dell’idea primordiale. Lo si può constatare con lo stesso comunismo tramutato in dittatura e l’instaurazione della tecnica economica NEP anziché della statalizzazione integrale.
La dittatura del proletariato è un regime nel quale il potere politico è nelle mani dei lavoratori, contadini, operai, annullando ogni differenza di classe. Secondo Norberto Bobbio nell’ ”Utopia capovolta” nonostante il comunismo storico sia indiscutibilmente fallito, i problemi da esso portati alla luce sono ancora attualissimi. Si tratta di esigenze quali l’uguaglianza tra classi, la giustizia sociale, arretratezza e povertà nei paesi del Terzo mondo, la dicotomia vigente nei paesi in via di sviluppo (America Latina, Estremo Oriente e Africa settentrionale), dove in alcune zone si assiste ad una povertà dilagante mentre in altre ad una ricchezza esorbitante nelle mani di oligarchi.
A chiusura di questo saggio, si intende insinuare un dubbio presso il lettore: a quale prezzo gli ideali comunisti sono stati soppiantati dalle democrazie moderne?
Maria Lisa Fiore e Sara Stornelli - Liceo Linguistico "G. Bianchi Dottula" Bari - classe 5^AL