Si tratta dell’epoca in cui tutto viene messo in discussione a causa delle nuove teorie che hanno rivoluzionato il modo di pensare e di interpretare il mondo.
Infatti, nel 1896 Sigmund Freud ha parlato per la prima volta di Psicoanalisi, introducendo il concetto di inconscio. Già nel saggio “L’Umorismo” Pirandello afferma che il copernicanesimo, che ha inferto un’umiliazione cosmologica nell’uomo, abbia attuato un processo di destabilizzazione delle certezze umane.
Tali teorie innovative introdotte nel Novecento hanno completamente stravolto e profondamente influenzato la forma mentis degli autori del XX secolo, tant’è vero che Pirandello, rifacendosi allo psicologo francese Alfred Binet, ha maturato l’idea secondo cui l’individuo non è univoco ed è pronto ad indossare maschere sempre differenti a seconda della situazione, poiché egli non possiede una, ma dieci, cento, infinite identità.
Nel brano proposto, tratto dal romanzo del 1904 intitolato “Il Fu Mattia Pascal”, il nome del protagonista “Mattia” allude al fatto che sia matto perché egli assume un comportamento che lo imprigiona e, pur scappando dalla sua prima forma, cade in un’ulteriore trappola.
Dopo aver messo in atto la riflessione, che gli ha consentito di passare dall’ “Avvertimento del contrario” a quello che Pirandello chiama “Sentimento del contrario”, Mattia Pascal prende la difficile decisione di abbandonare la propria vita, caratterizzata da un lavoro che non gli piace e da una famiglia folle e invadente, per cominciarne una nuova, assumendo l’identità di Adriano Meis.
Dunque, ora non ha più la possibilità di ritornare indietro, anche perché Mattia Pascal è stato trovato morto alla Stia, tant’è che egli definisce la sua ombra come quella di un morto, sulla quale ognuno può passarci e schiacciarne il cuore e la testa.
Dal testo si evince che il protagonista prova un sentimento di smarrimento e di esclusione dal mondo in cui ha scelto di vivere perché inizia a credere di non essere una persona reale; questo perché, essendo senza documenti, è entrato all’interno di una società nuova come una persona che non esiste.
Egli, quindi, inizia a contemplare la sua ombra, che cerca di eliminare, calpestandola con i piedi, ma non riuscendoci, comincia a domandarsi “Chi è più ombra di noi due? Io o lei?”.
Il protagonista è convinto che la sua ombra lo perseguiti e per questo cerca di fuggire da essa, affrettando il passo, ma ogni volta che abbassa lo sguardo se la ritrova ai piedi. Ecco perché la definisce come lo “spettro” della sua vita.
Tuttavia, nella parte conclusiva del brano, il protagonista comprende che l’ombra che lo perseguita, in realtà, appartiene ad un uomo che ha deciso di uscire dalla propria gabbia e di assumere una nuova identità, la quale però è fittizia.
Quindi, si tratta di un’ombra dotata di una testa che, però, serve per comprendere che “é la testa di un’ombra, e non l’ombra d’una testa”.
Pertanto, rinunciando alla sua prima forma, egli ha definitivamente rinunciato anche all’amore perché non sa che la sua nuova vita è ancora peggiore di quella precedente perché non può esistere.
Infatti, nella conclusione del romanzo il protagonista decide di ritornare nel suo paese d’origine, Miragno, dove non può essere né Mattia Pascal né Adriano Meis e, così, ogni giorno si reca a visitare la sua tomba dove è seppellito “il fu Mattia Pascal”.
Il brano presentato dimostra come Pirandello, in tutti i suoi romanzi e drammi, desideri far comprendere che il tentativo di ingabbiare la pluralità dell’Io è, in realtà, una forzatura; infatti, egli sostiene, richiamandosi al filosofo francese Henri Bergson, che la vita sia un flusso continuo, cioè come un fiume il cui corso non può essere bloccato e nel tentativo di farlo, prima o poi esonderà.
Questo possiamo ritrovarlo anche nel capolavoro pirandelliano “Sei personaggi in cerca d’autore”, un dramma appartenente alla fase del Metateatro o del Teatro nel teatro.
Si tratta di sei personaggi che sono stati rifiutati dal loro autore e che implorano gli attori e il capocomico di mettere in scena il loro dramma. Tuttavia, nel momento in cui gli attori interpretano le loro parti, essi non appaiono aderenti alle loro identità e, di conseguenza, domina una “tragica incomunicabilità”.
Questo si verifica perché vi è una grande difficoltà nel dare corpo alle fantasie dell’autore nelle forme tangibili e mutevoli della rappresentazione teatrale.
Perciò, il messaggio che il nostro Pirandello vuole mandare è che, dato che la vita è un flusso continuo, essa non potrebbe mai essere imprigionata nella rappresentazione teatrale e neanche nelle maschere.
Inoltre, anche il protagonista del dramma “Enrico IV” alla fine assume consciamente quella forma che, inizialmente aveva assunto inconsciamente a causa dell’incidente sul cavallo, ma che dopo aver ripreso la memoria, sceglie di acquisire razionalmente.
Tuttavia, anche questa identità è una finzione.
Stefania Loconte, VBu Liceo Bianchi Dottula - Bari