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Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta nel 1904, epoca di enormi cambiamenti; siamo nel secolo in cui si sarebbe diffuso il Movimento del Modernismo, i cui scrittori sono influenzati da nuove teorie ed idee, tra cui la relatività di Einstein, la teoria secondo cui il tempo e la vita seguono un flusso continuo, di Bergson, la cui impostazione da vita alla tecnica narrativa dello stream of consciousness, α cui aderisce anche l’italiano Italo Svevo e James Joyce, che in quegli anni sembra diventare un must have della Letteratura ; e infine, non per importanza, l’influenza della Psicoanalisi di Freud che porta gli autori ad essere interessati alla mente umana è al la pro che compie. 
In qualche modo anche Pirandello ne è influenzato, perché nei suoi lavori sembra essere frequente il momento dello specchio, che si risolve nell’essere la riflessione, l’autoanalisi, che i protagonisti attuano su se stessi, esaltando il lavoro che la mente compie nei momenti complicati. Ciò lo ritroviamo in un altro grande romanzo pirandeliano : Uno Nessuno e Centomila. 
Il protagonista Vitangelo Moscarda attua un’analisi del suo aspetto fisico in seguito alla sua vista nello specchio, da cui ha inizio la storia. L’episodio dello specchio è presente anche, appunto, ne Il Fu Mattia Pascal. Il momento è successivo alla lite tra sua moglie e sua suocera all’interno del salotto, che Pirandello soprannomina “stanza della tortura”. In seguito α questa lite, a cui Mattia Pascal aveva, inizialmente, reagito quasi essendone indifferente, egli si reca in bagno e guarda il suo riflesso. 
In quell’istante comprende che fino ad allora era stato ingabbiato in una vera e propria trappola da cui vuole scappare. In questo ritroviamo il passaggio dal solo avvertimento del contrario al sentimento del contrario, che ci fa capire l’umorismo di Pirandello, è il momento della riflessione. Voleva avere un riscatto, scappare, accumulare denaro e ritornare. 
Ma questo non accade, perché mentre lui è via, Mattia è dato per morto alla Stia. 
Il bizzarro ritrovamento del suo stesso corpo e il solo pensiero di ritornare α far parte di quella trappola, lo guida verso la decisione di trasformarsi in Adriano Meis e di viaggiare senza meta per trovare α ritrovare la felicità e serenità. 
Arriva α Roma, dove viene gentilmente ospitato in una pensione, α casa Paleari, che si trova costretto ad abbandonare α causa di un furto avvenuto da parte di Papuano nei suoi confronti. Vorrebbe denunciarlo ma non ha i mezzi per farlo. 
È ormai senza identità, privo di documenti e di uno stato civile. È ora ufficialmente inesistente: Nè Mattia nè Adriano esistono, da ora in poi sarà Nessuno. 
Aveva deciso di rinunciare alla sua forma di Mattia per crearne un’altra, e ora si trova α identificarsi come figlio di nessuno. 
Arriviamo all’inizio del XV cap., che narra il momento successivo al furto, in cui lui cammina per le strade di Roma, in solitario. 
Nella frase citata nell’Incipit, egli inizia α prendere coscienza di non poter più ritornare Mattia Pascal e di non poter nemmeno essere Adriano Meis, identità che in realtà non gli è mai appartenuta. 
Sembra assumersi la colpa di tutto e lo capiamo dalla frase : “solo, solo, affatto solo, diffidente, ombroso e il supplizio di Tantalo si sarebbe rinnovato per me” , alludendo al fatto che si sarebbe probabilmente meritato una punizione divina.
Le sue azioni lo hanno allontanato da quella pensione in cui finalmente, dice, ha trovato il “nido” , inteso come casa, posto sicuro, dandogli il medesimo significato affidatogli da Pascoli, cui tema del nido famigliare risulta essere ricorrente. 
Durante il suo cammino nota la sua ombra, la vede calpestata dai pedoni, dal cavallo, dal carro e infine da un cagnolino e la sua reazione delirante spaventa le persone attorno α lui. Questo viene descritto in modo tragicomico per una delle sue reazioni in contrasto col suo stato d’animo. Sta avvenendo il processo della crisi d’identità: il protagonista inizia α riconoscere che l’unica cosa che gli rimane è la sua ombra, riconosce di non essere nient’altro che un’ombra.
 È una scena che permette all’umorista di riflettere sulla reale condizione del protagonista. 
Questa realizzazione inizia α mandarlo fuori di testa, Pirandello recita : “ e se mi metto α correre, mi seguirà” e ancora “mi stropicciai la fronte per paura che stessi per ammattire, per farmene una fissazione”. 
Α questo punto il protagonista ha preso totalmente coscienza di aver erroneamente abbandonato la sua forma originaria, che non potrà mai più riavere e che dalla sua nuova forma illusoria non potrà mai ricavare alcun vantaggio. 
La società ormai l’ha reso inerme, la sua trappola l’ha ucciso, quello che restava era la
sua ombra, calpestata sulle vie di Roma. 
La parte conclusiva del brano non fa altro che accentuare il dolore provocatogli dalla sua perdita di identità ; Mattia sottolinea la sua tristezza di non poter più essere amato, ma essere comunque esposto alla cattiveria della società. Ora la sua realtà forma è quella della sua ombra : Mattia è stato uno e centomila, a causa delle diverse considerazioni su di lui, anche nella sua stessa famiglia era scroccone per la suocera e inetto per la moglie, tema affrontato anche nei romanzi sveviani in modo frequente. Adriano, invece, è sempre stato nessuno e adesso la sua ombra è centomila. 
Per esaltare al meglio gli stati d’animo di Mattia, Pirandello usa figure retoriche come : “ uscii di casa come un matto”, una similitudine per farci capire quanto Adriano fosse scosso, oppure metafore : “schiacciarmi la testa, schiacciarmi il cuore”, oppure “l’ombra di un morto: ecco la mia vita”, che sottolineano la consapevolezza del protagonista di essere arrivato al punto di poter essere riconosciuto solo in “nessuno”. 
 
Denise De Luisi VBU Liceo Bianchi Dottula - Bari
 

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