Hannah Arendt riesce a proporre una riflessione così autentica in quanto vive l’esperienza dei totalitarismi, in particolare quello nazista, infatti è costretta a lasciare la Germania per trasferirsi negli Stati Uniti. Con i suoi studi riesce ad esaminare autenticamente e con lucidità il fenomeno dei totalitarismi. Facciamo riferimento al concetto di stato etico, di cui parla anche il filosofo Hegel (che lo crede stato collettivo e totalitario, ovvero ragione assoluta), concetto che può condurre a forme degenerate di stato, perché si insinua nella vita privata del cittadino, negandone ogni libertà.
La sua riflessione è inizialmente spiegata nell’opera “Le origini del totalitarismo”, nella quale individua le fondamentali differenze tra i totalitarismi del Nazismo, Fascismo, Stalinismo e la dittatura dei secoli passati. Infatti, il fenomeno novecentesco non è, secondo lei, paragonabile alla dittatura dei secoli precedenti.
La filosofa, infatti, individua delle caratteristiche precise per quanto riguarda i totalitarismi. Prima di tutto non pone differenze tra Destra e Sinistra, in quanto crede fermamente che siano tutte uguali. Presenta al riguardo degli esempi: per la Destra sceglie il Fascismo italiano e spagnolo nonché il Nazismo della Germania; per quanto riguarda la Sinistra sceglie l’esempio dello Stalinismo. Definisce questi fenomeni “degenerazioni politiche” diverse dalla dittatura.
Successivamente afferma che il totalitarismo ha il potere di isolare l’uomo, ormai sottomesso al capo, e di distruggere tradizioni sia sociali che giuridiche ma anche politiche, trasformando le classi sociali in massa e creando un partito politico unico. I totalitarismi operano secondo una cosiddetta “scala di lavoro”: il mondo è trasformato in una dimensione etica non positiva, perché entra nella sfera del privato, controllando anche il modo di pensare, assorbendo completamente la vita del cittadino. Il caso seguito dalla Arendt è il caso Eichmann. Ella è invitata α Gerusalemme per seguire meglio tutto il processo del gerarca nazista, il cui compito era quello di gestire l’organizzazione dei campi di concentramento. Durante il processo la filosofa, come racconta nel libro “La banalità del male”, si ritrova davanti una persona completamente diversa da quella conosciuta, perché si mostra come un uomo modesto.
Afferma che non sa come sia stato possibile che un uomo apparentemente normale abbia potuto fare tutto ciò che ha fatto, non avendo nessuna teoria αl riguardo, nonostante la partecipazione al processo le abbia offerto una grande lezione: Eichmann era un uomo terribilmente normale, ma senza idee, vuoto e lontano dalla realtà.
Denise De Luisi - classe 5^BU Liceo delle Scienze umane "Bianchi Dottula" Bari
Hannah Arendt e la banalità del male
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- Inserito da Lia De Marco
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