IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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L’argomento della pena di morte è stato trattato da Cesare Beccaria, nato a Milano il 15 marzo 1738.
A sostenerlo in un periodo di solitudine della propria vita fu l’amico PIETRO VERRI, che nel 1761 assieme al fratello Alessandro, fondò un nuovo circolo culturale con sede a palazzo Verri: L’ACCADEMIA DEI PUGNI. Tra i temi ricorrenti in questo circolo vi era la GIUSTIZIA PENALE.
Vi partecipavano Beccaria, Luigi Lambertenghi, Giuseppe Visconti di Saliceto e Giambattista Biffi. Il nome stesso indicava l’irriverenza verso il sistema politico e l’obiettivo era quello di rinnovare la cultura e la politica dell’epoca a qualunque costo, anche rischiando di scontrarsi con le ricche e potenti famiglie da cui provenivano.
Il 12 aprile 1764 il manoscritto “Dei delitti e delle pene” di Beccaria venne inviato all’editore Coltellini di Livorno che ne pubblicò in forma anonima la prima edizione.
Alla base del libro vi è la relazione tra DELITTO (termine con il quale si intende un qualsiasi reato) e PENA: il delitto va contro la legge, ma la pena deve essere applicata tenendo conto dei diritti dell’uomo. Esistono delle leggi, ma queste ultime sono in rapporto con la giustizia?
Beccaria sostiene che le leggi siano fatte per ottenere legittimità, ma che talvolta siano troppo arcaiche e quindi scorrette per la legalità esercitata nella quotidianità.
Quindi la tesi che Beccaria sostiene è: vi è sproporzione tra pene e reati.
Le argomentazioni che presenta a favore della sua tesi sono molteplici: innanzitutto Beccaria si chiede come possa un uomo arrogarsi il diritto di uccidere un suo simile; d’altronde lui crede che la pena di morte debba essere sostituita dai lavori forzati, così da garantire maggiore equilibrio tra pena e reato; Beccaria evidenzia anche che la pena debba mirare alla riabilitazione dell’individuo e non debba essere una vendetta e che l’estensione della pena sia più importante della sua intensità, infine vi sono anche dati che attestano che non ci sono meno crimini nei territori in cui vige la pena di morte.
Nell’antichità la pena di morte venne applicata dai Babilonesi, presso i quali il Codice di Hammurabi prevedeva la pena di morte per omicidio, furto e mancanze relative allo svolgimento del proprio lavoro.
Tra gli Egizi, invece, questa pena veniva inflitta a chi commetteva infrazioni a carattere fiscale, spionaggio, attentati contro il faraone, sacrilegi, furti o omicidi.
Nelle civiltà precolombiane venivano puniti con la morte l’adulterio e l’omicidio volontario e colposo.
Francesca Lorusso - classe 4^BU Liceo delle Scienze umane "Bianchi Dottula" Bari 

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