La parola crisi, largamente usata in varie circostanze, indica la rottura con l’ordine abituale delle cose, che disorienta e destabilizza l’equilibrio precostituitosi.
Anche se può generare sconforto la crisi è necessaria; non può esserci una risalita se non dopo una discesa. A dimostrarlo sono i principi fisici (la legge di Archimede), le fluttuazioni cui è soggetta l’economia, le vicende storiche alternatesi nel tempo. Se non ci fosse stata la crisi dei moderni regimi totalitari, ad esempio, non ci sarebbe stata l’affermazione delle odierne democrazie o delle costituzioni a salvaguardia dei diritti umani. La crisi mette l’individuo di fronte a difficoltà e situazioni imprevedibili, spingendolo così a reagire e a fortificarsi. Non bisogna attribuire alla crisi la colpa dei propri insuccessi, perché, così facendo, si avrebbe più rispetto dei problemi che delle soluzioni. Ripiegarsi su se stessi, restare inermi e lasciarsi percuotere dalle avversità, è quanto di più sbagliato si possa fare. C’è un proverbio inglese che recita “c’è sempre una benedizione nella disgrazia”; il che significa che anche quando tutto sembra andare per il verso sbagliato, c’è sempre la possibilità di volgere gli eventi in direzione del bene. Molti insegnamenti, a riguardo, ci sono pervenuti dalla filosofia greca delle origini, basti pensare ad Eraclito che rassicurava gli uomini proponendo loro una visione altruistica e anti-tragica della vita, fondata sulla condivisione umana dei sentimenti. La crisi e le sue ripercussioni psico-patologiche hanno spesso fatto la fortuna di artisti e letterati: si pensi al genio di Van Gogh, il quale, se non avesse mai sofferto di disturbi psichici, forse non avrebbe mai realizzato “Notte stellata”. La crisi può anche rappresentare la premessa indispensabile per il raggiungimento di stadi che trascendono l’esperienza umana, come il Nirvana di cui parla Schopenhauer, uno stato di totale distacco dal mondo e dalle cose terrene. Secondo Kierkegaard, invece, la crisi insinua nell’individuo una continua inibizione nei confronti di eventi e situazioni che gli impedisce di progredire verso uno stato di benessere. È questa in realtà l’unica crisi che minaccia l’uomo: “la tragedia di non voler lottare per superarla”, in altre parole, quella paralisi joyciana dell’essere, su cui tanto l’autore si è soffermato nel ritratto della sua Irlanda e della sua gente. E anche se sembreranno esserci muri da ogni parte, anche se ci si sentirà in trappola, trovare una via d’uscita è obbligatorio. L’uomo non deve mai perdere la capacità di reagire di fronte alle situazioni per affermare se stesso, dal momento che non c’è nulla che non possa essere modificato; niente è permanente e l’uomo non deve lasciare che lo diventi per inerzia. Questa è la morale celata dietro l’opera Jean Paul Sartre “L’esistenzialismo è un umanismo”, conclusa dall’affermazione: “Ogni uomo è padrone di scegliere la propria via d’uscita e varrà la via d’uscita stessa”.
Elisa Ingianni, 5C/SU
Liceo Classico, Linguistico, Scienze Umane “F. de Sanctis” Trani