“Dopo aver traversato terre e mari, eccomi[…]” recitano i versi di Catullo.
È questa la sorte di chi lascia la madre terra per vivere altrove: “una volta uccelli, oggi gli uomini” precisa la scrittrice de Caldas Brito. Si ritrovano come fuggitivi in un paese a loro estraneo e senza perdere dagli occhi il passato sperano ancora in qualche giorno di pace. Lo sguardo si sposta su uomini, donne, intere famiglie costrette a rinchiudersi in stanze buie, mentre un mondo alle proprie spalle si frammenta, per intraprendere il viaggio per la felicità con la consapevolezza di dover rinunciare alla propria identità e scommettere sul rischio assoluto. È un processo lungo e doloroso per cui questo viaggio fisico si trasforma in una migrazione interiore che segnerà per sempre lo spirito di ognuno. La migrazione si presenta però ormai come un fenomeno globale, perciò la solidarietà umana è l’unica via di salvezza. La solidarietà estesa agli altri e nel particolare a noi stessi.
Siamo tutti migranti.
Siamo spinti da un dissidio interiore che ci guida ad intraprendere questo Grand Tour che vede come meta finale la ricerca della propria verità. Così ci troviamo ad indossare le vesti di Odisseo per avviare un viaggio di crescita per poi tornare, forse un giorno, alla patria materna poiché “quando uno parte dev’essere pronto a tornare o a non tornare affatto”. Puntare al futuro spiccando il volo sapendo di non avere ali di scorta. Investire in una rinascita che potrebbe temprare le nostre coscienze rendendole responsabili, capaci di scegliere e di essere coerenti con quelle scelte. Una crescita dettata da nuovi interessi implica, però, l’abbandono del nido pascoliano. Siamo migranti quando abbandoniamo i vecchi schemi per aprirci a nuove circostanze di vita, al mondo universitario e lavorativo e alla società: approdo di un lungo processo di interiorizzazione di conoscenze acquisite mediante la scuola, la famiglia, le abitudini che necessitano di essere trasformate in competenze. Tutto riassumibile in quel processo che Piaget riconobbe come adattamento, per cui gli ostacoli possono essere convertiti in opportunità. E immersi in una realtà ricca di novità, la nostalgia pian piano è destinata a spegnersi, così come il tutto attorno, tranne la memoria: unica droga naturale che può aiutarci a vivere. Ma appena giunti al traguardo s’intravede subito in lontananza un nuovo obiettivo, rientra quindi in gioco quel perenne processo di adattamento e riaffiora l’instabilità dell’animo per cui la morte sarebbe l’unica meta dei propri guai. Si potrebbe affermare che solo nel momento della morte potremmo dire di essere arrivati. L’unica cosa che resta da fare è seguire le orme di Lucia Mondella e salutare quel paese che ci ha accolti per una breve ed intensa tappa della nostra lunga migrazione che è la vita. “Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!.. Addio casa natía[…]”.
Moscatelli Ottavia A.
IV D su, Liceo Classico, Linguistico e delle Scienze Umane “F.De Sanctis” - Trani