IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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In una piccola cittadina pugliese, alle ore 9,30 di una fredda mattinata invernale, in un’aula di tribunale, si svolge un animato processo che ha, come tematica cardine, il divario latente tra amore religioso e sapere scientifico. Vengono chiamati in causa, nelle vesti di rappresentanti locali, il dotto scienziato Leonardo Vivalascienza e il cardinale Pio Vivalafede. Uno scontro epocale, una battaglia ideologica, un dialogo serrato, acceso, sentito. Il primo ad intervenire, lo scienziato Vivalascienza, difende in maniera frizzante la sua tesi. Riponendo massima fiducia nelle verità scientifiche e nei processi induttivi sperimentali, argomenta, in un discorso intriso di formule matematiche e ragionamenti astratti, l’impossibilità di un’autentica coesistenza tra queste due realtà, mondi “la cui distanza è direttamente proporzionale al quadrato del segmento che congiunge il pianeta Saturno al Sole”. Dando voce alle parole di Galileo Galilei, parole che ancora oggi echeggiano nella Valle del Sapere, egli sostiene che “L’intenzione dello Spirito Santo è d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo”. Egli, quindi, denuncia l’arbitrario tentativo della Chiesa di arrogarsi la facoltà di intervenire in un ambito, quello scientifico, che non le compete. Ritiene, inoltre, che le stesse Sacre Scritture non debbano in alcun modo essere un ostacolo per la divulgazione di pensieri scientifici poiché si servono di metafore per essere meglio comprese da tutti e trattano argomenti unicamente religiosi. Sminuendo il sapere religioso, egli consolida e cementa le sue convinzioni. Successivamente i riflettori dell’attenzione vengono puntati sul cardinale che, molto timidamente, con fare pacato ma sicuro, espone i suoi pensieri. Vivalafede afferma che, supportato dalle dichiarazioni dell’ astronomo e astrofisico Marco Bersanelli, nella comunità scientifica c’è un buon numero di scienziati che, contrariamente a quanto si possa pensare, vive parallelamente un’esperienza di fede. Fede concepita come un valore aggiunto, un ingrediente speciale capace di rendere “ più bello ciò che è bello e più vero ciò che è vero”. Egli riporta, a tal proposito, l’ esperienza contraddittoria dell’astrofisica Margherita Hack. Ella denuncia il fatto di “aver passato tutta la vita a guardare le stelle senza mai vedere Dio”. Una laicità che deriva da un’eccessiva consapevolezza e conoscenza del mondo. Ella tuttavia non esclude totalmente l’ambito religioso e si mostra propensa a ricredersi su quanto, per anni, sostenuto. È proprio questo l’argomento vincente che determina l’esito conclusivo del dialogo: una donna di scienza che è pronta a mettere in discussione le sue verità in nome di un sapere religioso recondito. Vivalafede ritiene, dunque, che fede e scienza siano due dimensioni complementari, entrambe da valorizzare completamente, nella loro reciproca fecondità. Una realtà non esclude l’altra: la scienza riesce raramente a dare una risposta soddisfacente e totale ai mille interrogativi esistenziali che da sempre l’uomo si pone. Perciò il disegno di un “Dio Tappabuchi” subentra come spiegazione plausibile ed inconfutabile di tutto ciò che viene lasciato in sospeso. Egli riporta l’esperienza della nascita dell’Universo, disegno interpretato sia dagli scienziati che dai teologi; operai del sapere che agiscono presentando due possibili chiavi di lettura, entrambe veritiere, di un medesimo fenomeno studiato.
Ore 13,30. Il processo si conclude. Il giudice Vito Sonoequo batte il martelletto. Il suono si propaga in tutta la città, ansimante di conoscere l’esito finale. Il giudice decreta la vittoria delle argomentazioni, più convincenti, di Vivalafede, mostrandosi propenso ad una coesistenza e compenetrazione tra i due mondi.

Maria Grazia Romanelli IV B - Liceo “F. De Sanctis”, Trani

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