Schopenhauer ci ha insegnato che nella vita incontreremo due tipi di persone: i "sani" e i "malati". Ma chi sono i sani e chi sono i veri malati? Ci siamo mai fermati un attimo a pensare al significato di queste due parole? Molto spesso alla "malattia" non si fa altro che accostare il termine "morte", morte fisica, mentale e ancor più dell'anima. Come se i malati fossero individui passivi, inquieti, insoddisfatti, "inetti" che trovano riparo nel loro comodo piccolo guscio.
E i sani? I sani sono la vita, la pulsione vitale, individui cristallizzati in una forma rigida e immutabile, un perfetto sistema di certezze e per tale motivo non disponibili alle trasformazioni, incapaci di evolversi. E dunque mi domando, credete davvero che i malati siano malati e che i sani siano sani? L'essere incapace di evolversi non è già un po' malattia? La chiusura delle porte della vita, dei cambiamenti per timore delle possibili conseguenze. Ed è così che i confini tra malattia e salute cominciano a sfiorarsi. Sostiene T. Mann: «La malattia ti dà la libertà». E non è forse così? Nessuno ci darà mai una risposta perché magari una risposta neanche esiste. Tuttavia, il malato o "inetto" non è sempre colui che rifiuta la vita. È inetto anche colui che tenta di guardare oltre il proprio naso, più lontano da sè, dal mondo. Ecco perché geniale e libero. Libero da debolezze, fragilità, paure; libero dai propri limiti e da maschere che confondono l’identità di ciascuno di noi. A questo proposito citerei lui, Zeno, che sperimenta le più varie forme dell'esistenza, esplora l'originalità, un essere in divenire che accetta i cambiamenti e non drammatizza la propria condizione. Un uomo che giunge alla consapevolezza che la salute degli altri è anch'essa malattia. L'esistenza è morbo o malattia e l'unica cura consisterebbe nell'apocalittica visione conclusiva, una catastrofe inaudita ed è solo in tal maniera che sarà possibile abbattere la malattia, epicentro del terremoto umano e universale. Chi è sano, chi è malato? È il sano colui che coglie i colori della vita e le sue sfumature? È davvero tutto o bianco o nero per un "malato"? Domande che non hanno trovato conferme nel '900 e ancora oggi non ci sono. Oggigiorno l'inetto è l'emarginato della società, un uomo che pur dotato di talento non è sufficientemente apprezzato e valorizzato. Non tutti però restano in linea d'attesa, c'è anche chi non molla e lotta, si alza le maniche e si prende quello che gli spetta perché "il talento non ha niente a che vedere con l'infelicità", sostiene Kafka. L'inettitudine non si può evitare. Inutile riempire la mente con interrogativi privi di risposte. Forse non si è veramente malati fin quando non si è stati sani e non si è fino in fondo sani se prima ancora non si è sperimentata la malattia.
Alessia Palumbo V D Liceo Francesco de Sanctis Trani.