Si dice che il fine giustifichi i mezzi. Questo principio, che ammette metodi scorretti e violenti, secondo Machiavelli, doveva regolare l’uomo politico, il Principe, nella terribile realtà dell’ Italia del ‘500. Questo fondamento è dettato dalla considerazione che il fiorentino aveva degli uomini. Egli li riteneva malvagi per natura e inclini a comportarsi in modo utilitaristico e opportunistico.
Per noi moderni è scontato che siano i cittadini a creare lo Stato che deve, a sua volta, garantire il loro benessere e far funzionare in modo corretto la società.
Durante il Rinascimento, l’argomento sopra citato è stato oggetto di varie questioni e ha generato schieramenti interpretativi diversi. Partendo da tale visione pessimistica, il fiorentino giustificava tutte le azioni, anche quelle più riprovevoli, del politico; perciò fornì un modello di principe, nonché di uomo politico, del tutto amorale. Egli scelse, infatti, come figura di riferimento Cesare Borgia, uomo impavido e senza scrupoli che non esitava ad usare la forza e le armi per raggiungere i propri obiettivi. Il Valentino corrispondeva perfettamente al principe ideale di Machiavelli: in lui “si troverà qualche cosa che parrà virtù”, assecondando la quale egli incorrerebbe nella “rovina sua”, e “qualcun’altra che parrà vizio”, il quale, al contrario, potrà garantirgli “la sicurtà, ed il ben essere suo”. In altri termini, per il segretario di Stato fiorentino, ciò che conta per il Principe non è risultare moralmente corretto ed essere approvato dal popolo, ma puntare, piuttosto, al benessere dell’intero Stato. Eugenio Garin spiega questo concetto sostenendo che, poiché gli uomini hanno come principale obiettivo quello di raggiungere la propria felicità, la virtù del politico sta nel disciplinare la natura umana, anche con mezzi “duri e feroci”, sempre “per amor di giustizia, di bene”.
Son passati più di cinque secoli, da quando Machiavelli scrisse il suo saggio e, ovviamente, più nessuno oggi si azzarderebbe a definire l’uomo malvagio per natura e a giustificare la forza del “leone” o l’astuzia della “volpe” come strumento per esercitare il potere. Va aggiunto, ad onor del vero, che Machiavelli ammetteva che ci fosse una terza possibilità di esercitare il potere, governando attraverso le leggi.
Da Montesquieu in poi, il grado di civiltà di una realtà politica si riconosce dalle leggi che essa è in grado di darsi. Ma nel mondo attuale è sempre più evidente l’assenza di fiducia e speranza nei confronti delle leggi dello Stato e della politica.
Ridurre il potere delle leggi, tirare in ballo la forza muscolare quale risoluzione ai problemi del mondo, come alcuni personaggi politici attuali stanno dimostrando, è un pericoloso salto nel passato. Eppure il passato dovrebbe fornire degli insegnamenti utili per il presente ed il futuro. È il concetto ben espresso nel dipinto “Allegoria della prudenza” di Tiziano. Qui si legge la frase “sulla base del passato il presente prudentemente agisce per non guastare l’azione futura”.
Il passato ci insegna che per garantire un futuro migliore è necessario governare secondo ragione, usando l’intelletto e non la forza. A buon intenditore poche parole.
Meditate, gente, meditate.
Gabriella Demauro IV BU Liceo G. Bianchi Dottula - Bari