Adriano Olivetti era un imprenditore, ma fu anche uomo interessato alla storia e alla letteratura, alla filosofia, all'arte, all'architettura. L’azienda fondata dal padre nel 1908 divenne più matura nel 1938 grazie ad Adriano che ne divenne presidente e ne restò al comando fino alla morte nel 1960. Attraverso la sua perspicacia, l’impresa si ampliò a livello mondiale con l’applicazione di principi civili ed economici.
La sua utopia era caratterizzata da un nuovo progetto che univa imprenditori e operai all’interno del territorio che ospitava la fabbrica, facendo convivere in modo equilibrato esigenze produttive, benessere materiale e pienezza umana. L’impresa era basata su un'organizzazione di stile tayloristico, essa prevedeva che ciascun operaio avesse un compito diverso: alcuni erano responsabili dei tempi di lavorazione, altri della produzione e altri ancora dei materiali. Per il successo aziendale, il rispetto della persona e la qualità delle condizioni del lavoro erano considerati nodi strategici: non a caso, durante i periodi di crisi non licenziava i lavoratori ma adottava degli escamotage con il fine di creare nuovi prodotti e attirare nuovi clienti. Durante il corso della sua carriera si pose una domanda: “ qual è il valore del lavoro?”. La risposta fu che esso serve a tradurre in progresso civile i risultati del processo produttivo, ovvero rendere più fertile il rapporto tra il capitale del lavoro e l’assolutezza dell’essere umano. La sua impresa è definibile come una comunità d’intenti e interessi nella quale ognuno coopera per conseguire una serie di obiettivi comuni che vanno ben oltre gli interessi individuali. Nel 1911 il suo primo successo fu l’invenzione della macchina da scrivere, presentata all’esposizione universale di Torino. Come abbiamo potuto constatare attraverso la visione del film “In me non c’è che futuro”, la sua non era un' utopia, egli affermava che “il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare; un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande”.
Dopo la morte di Adriano Olivetti si è parlato persino di OLIVETTICIDIO, nel senso che l’utopia è stata ribaltata e i mezzi hanno finito per sostituirsi ai fini fino a trasformarsi in essi stessi. Quella di Olivetti, anche a distanza di cinquant’anni resta ancora, nonostante il cinismo di molti, un’esperienza ancora affascinante e moderna.
Celeste Lo Mele, Eleonora Pacifico, Alessia Stridi, 4^L