IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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Giuseppe Garibaldi è un grande amante della libertà, in tutto il mondo. Ciò gli è valso infatti il soprannome “Eroe dei due mondi”, diventando in questo modo uno dei primi uomini ad aver ottenuto una fama mondiale! Nonostante sia ricercatissimo tra i giornalisti di tutto il pianeta, oggi abbiamo la fortuna di averlo con noi, pronto a raccontarci i particolari più curiosi delle sue avventure!
Lei è stato un grande condottiero, soprattutto in mare. Quando è nata la passione per la vita da marinaio?

Quando ero piccolo, guardavo con ammirazione la tartana di mio padre… lui si occupava del commercio marittimo, ma non voleva che seguissi la sua strada: mi immaginava infatti in uno studio elegante, a praticare il mestiere di avvocato o medico… Io però non ero affatto portato per quello stile di vita. Così appena ottenni il permesso di abbandonare gli studi, iniziai a navigare sia sulla tartana di mio padre che su altre grandi imbarcazioni commerciali. Avevo appena sedici anni, e il mare era diventato la mia casa.
Dal suo racconto si evince il suo carattere estremamente vivace. Le ha causato molti problemi nel corso della sua vita?
Posso dire che il mio essere così discolo è stato sia un vantaggio che uno svantaggio nel corso delle mie avventure. Durante i miei primi lunghi viaggi in mare mi ha permesso di inoltrarmi verso posti lontani e di combattere i pirati, che più volte hanno assalito le nostre
imbarcazioni. Inoltre, mi ha spinto ad unirmi ai ribelli di tutto il mondo per aiutarli nelle loro battaglie per la libertà… di contro, sono stato condannato a morte, costretto a fuggire, imprigionato, torturato… Sono contento però dei risultati ottenuti anche grazie a queste disgrazie.
Difatti, in Brasile fece uno degli incontri più importanti della sua vita, vero?
Eh già. Era il 1839, ed eravamo nel pieno dei combattimenti per l’indipendenza della Repubblica di Rio Grande do Sul dall’Impero brasiliano. Avevamo conquistato Laguna e io passeggiavo sul cassero della mia nave. Come mi era solito fare, scrutavo l’orizzonte con il mio cannocchiale e improvvisamente notai una donna bellissima. Talmente bella che chiesi al mio equipaggio di navigare in quella direzione. Quando sbarcammo, però, lei era già andata via. Ma la fortuna era dalla mia parte: un abitante del luogo, un tale Manuel Duarte de Aguiar, vedendoci, ci offrì un caffè in casa sua. E, appena varcata la soglia della sua casa, la vidi: Anita de Jesus Ribeiro da Silva, moglie di Manuel. Rimasi talmente affascinato da lei che la salutai e le dissi, in italiano (dato che non conoscevo bene il portoghese): “Devi essere mia”. E così fu. Nonostante la mia impertinenza, Anita acconsentì ad accompagnarmi in tutte le mie avventure. Riuscimmo a sposarci nel 1842, subito dopo la morte del di lei marito.
Però, signor Garibaldi, lei non è stato sempre così fortunato in amore… giusto?
Ancora provo amarezza nel ricordare certi avvenimenti. Erano passati undici anni dalla morte della mia tanto amata Anita, ed ero appena riuscito a superare il dolore della sua mancanza, innamorandomi perdutamente di una ragazza: la marchesina Giuseppina Raimondi. Era bellissima, e mi sembrava anche molto prudente, dato che non voleva acconsentire a sposarmi. Io però la supplicai in ginocchio, e alla fine cedette alle mie preghiere. Il 24 gennaio del 1860, perciò, celebrammo le nostre nozze. Sembrava tutto perfetto… finché, poco dopo la fine della cerimonia, non mi venne consegnata una lettera che mi fece capire perchè la mia novella sposa fosse tanto restia a sposarmi… ella, infatti, era piena di amanti con i quali non aveva smesso di intrattenere rapporti nemmeno i giorni precedenti al matrimonio, ed era incinta di uno dei miei ufficiali, il tenente di Luigi Cairoli! Io le chiesi spiegazioni, indignato, e lei mi spiegò tutto. A quel punto, non potei far altro che ripudiarla e andarmene via, deriso da tutti, persino dal re Vittorio Emanuele II! Purtroppo, però, lei era un osso duro, e impiegai vent’anni per chiedere l’annullamento del matrimonio e sposare finalmente la mia attuale moglie, Francesca Armosino.
Fortunatamente, pochi mesi dopo quel disastroso matrimonio fu impegnato in una delle sue più grandi imprese, la Spedizione dei Mille. È stato difficile gestire un esercito così eterogeneo?
A dir la verità, no. Io ero abituato a guidare eserciti di ribelli e volontari- molti dei Mille erano stati Cacciatori delle Alpi, e avevano già combattuto con me in precedenza- e poi, eravamo animati tutti dallo stesso desiderio di libertà, nonostante fossimo tutti diversi:
ragazzi, veterani, avvocati, dottori, ingegneri, pittori, artigiani, mercanti e così via. Vi erano persino volontari stranieri, molti dei quali ungheresi; anzi, se la memoria non mi sta abbandonando, fu proprio Istvan Turr, un ungherese, il primo a sbarcare a Marsala.
Durante la Spedizione dei Mille, pare che fosse in buoni rapporti con Camillo Benso conte di Cavour, che segretamente vi sostenne nell’impresa. Come si arrivò allo scontro in Parlamento il 18 febbraio 1861?
In realtà, io e Cavour non siamo mai stati in buoni rapporti. Diciamo che avevo bisogno del supporto suo e del re, sennò… gliene avrei dette quattro molto prima! Lui aveva venduto la mia Nizza ai francesi, nonostante non avessero rispettato i piani. Non mi sono mai fidato dei francesi, sono dei traditori. O, per lo meno, lo è Napoleone III. Ricordo ancora la delusione
del mio compagno, Giuseppe Mazzini, quando nel 1848 seppe che la Francia aveva deciso di allearsi al Papa e di combattere la Repubblica romana!
A proposito di Giuseppe Mazzini, com’erano i rapporti tra voi?
Nonostante avessimo due caratteri molto diversi, condividevamo gli stessi ideali. Ero ancora molto giovane quando entrai a far parte della marineria sabauda per diffondere le sue idee. Posso dire che è stato grazie a lui che ho abbandonato la mia carriera mercantile; anche se
durò poco il mio servizio presso il Regno di Sardegna dato che, partecipando alla rivolta della Giovine Italia del 1834, fui costretto a scappare. Ma come ho già detto prima, questa fu solo una delle mie grandi avventure di cui vado fiero.
Per concludere, vorrei porle una domanda particolare: quale pensa che sarà il futuro dell’Italia unita?
Io spero fortemente che, prima o poi, si possa giungere alla tanto sospirata repubblica. Per il resto, non importa chi ci sarà al governo, quali battaglie sceglierà di intraprendere o quant’altro; ciò che spero è che gli italiani, in quanto unico popolo, restino sempre uniti, e non si facciano mai sottomettere da nessuno, continuando a lavorare per la libertà! Perchè ricordatevi: il lavoro ci farà liberi, e la libertà ci farà grandi!

Martina Chantal Lattanzio, V AU Liceo Bianchi Dottula - Bari .

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