"Il teorema del babà", il suo romanzo, si distingue per una narrazione ordinata e misurata. Il grande filologo classico, Giorgio Pasquali, affermava che un'opera ben organizzata e calibrata è l’espressione di un' implicita volontà da parte dell'autore di dare ordine al caos che regna nel proprio tempo. È così?
“Scrivo per mettere in ordine le mie paure e le mie angosce; un autore che scrive di narrazione pura è qualcuno che prova a incasellare il caos che ha dentro di sé. Io pratico due forme di scrittura. Una è il saggio: metto in fila tutte le testimonianze, e così descrivo, per esempio, gli scandali che funestano la politica italiana. E’ questa la scrittura giornalistica. Che si realizza con l’ausilio di compasso, squadra e riga. Altra cosa è la scrittura creativa. Ad esempio, se devo narrare di una ragazzina di sedici anni con un angelo tatuato sul fondoschiena, un piercing all'ombelico e incinta di un batterista inglese più grande di lei, mi devo immedesimare nei suoi pensieri e sentimenti. Per fare questo devo diventare quella ragazzina. Io non ho piercing all'ombelico né un tatuaggio sul fondoschiena e soprattutto non sono incinta di un batterista inglese. Allora, come faccio a descrivere cosa prova tale adolescente? Quali sono le sue paure, angosce, ansie, speranze e timori? Devo sedermi in un angolo, in un punto qualunque della mia esistenza, guardando dentro di me e magari nascosta nella mia anima è presente una ragazza di questo tipo. Faccio dunque un esercizio psicoanalitico. Una volta ho rappresentato il piacere di un assassino nell'uccidere la sua vittima e sono stato talmente efficace – scherza l’autore - che mia figlia, avendo letto il libro, è venuta da me spaventata dicendo: “Papà, ma veramente pensi queste cose?" La scrittura creativa prevede che uno diventi ciò che descrive, dando voce ai fantasmi chiusi nel proprio inconscio. Fantasmi che non uscirebbero mai, se non grazie a questo esercizio maieutico". Il libro offre vari spunti di riflessione, tra questi un tema fondamentale è costituito dalla relazione tra amore e cibo.
Qual è per lei il rapporto tra eros e cucina?
"In cucina, come nella vita, non bisogna buttare in un calderone i vari ingredienti, ma il tutto va amalgamato con cura e passione. L'amore deve essere coltivato, rispettando l'altro; anche uno chef deve sapientemente conservare e riproporre le ricette della tradizione. La cucina italiana vanta molteplici culture culinarie regionali, sulle quali "pesa" l'influenza delle varie dominazioni che si sono avvicendate sul nostro suolo nel corso dei secoli. Tutte vanno tutelate come espressione del ricco e variegato patrimonio storico ed enogastronomico del nostro Paese".
Il suo libro, che tratta di due cuochi l'uno contro l'altro armato, di cui uno è uno chef stellato di grande successo televisivo, può leggersi come una satira nei confronti della sempre crescente importanza dello showcooking nella TV italiana? Gli chef oramai sono dappertutto in TV; sono diventati degli opinion makers. Come giudica tutto questo clamore?
"Sì è vero, gli chef sono diventati personaggi di spicco e degli opinion leaders. Ma va, comunque, dato loro il grande merito di salvaguardare le tradizioni culinarie italiane e di insegnare il rispetto per il cibo e gli eccessi di spreco; è noto –sostiene lo scrittore- che si buttano via 142 kg di cibo a testa in Italia. Quindi non sarei così severo nei confronti di qualche peccatuccio di vanità".
Qual è il rapporto con lo scrittore Jorge Amado che ha avuto la possibilità di conoscere e intervistare?
La descrizione dei personaggi e dei paesaggi, l’osmosi tra natura e animo umano sembrano decisamente ispirati da atmosfere amadiane, anche l’utilizzo della didascalia in incipit dei capitoli appare come un tributo d’omaggio allo scrittore brasiliano . . . "All'inizio della sua carriera Amado scriveva romanzi d’inchiesta di natura politica, si pensi a “Cacao”. Egli, da uomo di sinistra, parlava del sociale ed era molto apprezzato per questo dalla casta intellettuale mondiale. Quando iniziò a scrivere di donne, cibo e amore, perse il consenso degli intellettuali, ma così diventò il grande scrittore che tutti amiamo: cambiò la sua maniera di scrivere e la polemica lasciò il posto al gusto della narrazione”. Ne “Il teorema del babà”, si dimostra una grande attenzione all’onomastica: nomi e cognomi scelti per i personaggi e l’abitudine di utilizzare soprannomi per appellare qualcuno sono pratica comune in Campania e in generale nel Sud dell’Italia. Accanto ai due protagonisti principali, troviamo una variegata girandola di personaggi minori, che incarnano vizi comuni e misere virtù.
"Il teorema del babà" è un saggio di varia umanità?
"Certo, è un saggio di varia umanità perché descrive la vita di Bauci, un paesino fittizio sui monti Lattari, ma anche quella di un qualsiasi piccolo centro del Sud del nostro Paese, ove sia data molta importanza ai rapporti e alle convenzioni sociali. Nel Meridione i compaesani difficilmente si chiamano ricorrendo al nome di battesimo; al contrario, ci si appella vicendevolmente utilizzando soprannomi significativi. A proposito di questo, ho da poco rivisto un mio vecchio compagno di scuola, il quale, essendo figlio di un pescatore, veniva ogni giorno esortato dall'autista del pullman della scuola a portargli un polpo. Per questo motivo gli fu dato il soprannome di "Totonno o' purpo a Michele" e perfino trent'anni dopo è stato automatico, per me, nel rivederlo, usare questo appellativo".
Nel romanzo "Il teorema del babà", uno dei due protagonisti, Jacopo Taddei è omosessuale. Dal suo libro si coglie che ogni tradizione è il frutto di un'innovazione e ogni innovazione è destinata a trasformarsi in tradizione.
Crede che una conquista innovativa come le unioni civili omosessuali possa, col tempo, diventare "tradizione" in un paese cattolico come l’Italia?
"Prima di tutto io sostengo indipendentemente ogni forma di amore e penso che il nostro orientamento sessuale non ci renda diversi l'uno dall'altro. Per me, inoltre, non basta solo una legge da approvare per far cessare le discriminazioni, deve modificarsi la mentalità e acquisirsi il principio della convivenza e del rispetto reciproco. Questo cambiamento non può verificarsi da un giorno all'altro, ma è il frutto di decenni di tentativi rivoluzionari. Faccio l’esempio della storia di Franca Viola, la giovane donna siciliana che ha dato una vera e propria svolta alle usanze del suo paese rifiutando il "matrimonio riparatore” con un boss mafioso che l’aveva rapita e violentata. Oggi, ma ci sono voluti decenni, la pratica del matrimonio riparatore in Sicilia non esiste più e Franca Viola, a suo modo, ha attuato una mutazione culturale".
Daniela Deceglie, Federica Del Conte , Alessia Lopez, Alessia Persia
II^A U Liceo "Bianchi Dottula"
Coordinato dalla prof.ssa Cecilia Pignataro