“Industria culturale”… un ossimoro? Poteva sembrarlo ai tempi del
Romanticismo, quando la cultura era vista come qualcosa di unico, la cui
“produzione” poteva essere attribuita soltanto ad un genio.
La nascente industria, invece, era considerata come quel luogo in cui, sì la produzione
era di certo più veloce, ma standardizzata, omologata, quindi, qualcosa che
non aveva niente a che fare con la “cultura”. Nel mondo contemporaneo,
invece, è la velocità la qualità più apprezzata e non l’originalità, la
creatività; non a caso l’enciclopedia online più utilizzata al mondo è
Wikipedia (dove “wiki” significa “veloce”). È proprio di questa perenne
corsa contro il tempo, di questo falso progresso che ci parla l’attuale
Primo Ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, Mario
Tozzi, nel suo libro “Tecnobarocco” (Einaudi, pp. 192; € 18,00). Il titolo
infatti “la dice lunga”: oggi viviamo, secondo Tozzi, in un mondo ricco di
tecnologie “barocche”, stravaganti, bizzarre, eccessive. Sì, perché
l’autore, inizialmente perora la tesi secondo la quale le tecnologie,
quelle tradizionali, sono “buone e giuste”, ma ormai esse stanno
schiacciando letteralmente la vita dell’uomo. Fin qui tutti d’accordo con
Tozzi: nessuno di noi avrebbe bisogno di un WC con acqua colorata e
profumata, che emetta una musica rilassante e con una webcam nel sifone,
come lo è il WC giapponese descritto nelle prime pagine. Andando avanti,
però, l’autore rischia di mostrarsi particolarmente affezionato ai “vecchi
tempi”, risultando ripetitivo e sembrando voler far passare ai lettori
questo messaggio: “Quando ero giovane io era tutto molto più bello,
affascinante, ecologico!”. Niente plastica, i vecchi e cari dischi in
vinile, la televisione a tubo catodico e tanti altri esempi da lui citati
con un immenso senso di nostalgia, più che di reale interesse per la
salvaguardia dell’ambiente e delle menti di “noi uomini moderni”. Poi, le
pagine iniziano a “tingersi” di assurdità. Un desiderio ancor più profondo
di andare indietro nel tempo arrivando fino agli inizi dell’ Ottocento
(almeno per noi europei; in Oriente bisogna andare indietro con le lancette
dell’orologio della storia sino al XIV secolo), abolendo addirittura la
carta igienica e sostituendola, come suggerisce Tozzi, con foglie di fico.
Esagerato, assurdo, no? Oppure, propone di abolire in maniera totale gli
ascensori. Ciò sarebbe una decisione saggia in un mondo popolato
esclusivamente da persone sane, giovani e solo un po’ pigre; non su un
pianeta in cui la maggior parte della popolazione è anziana e ha problemi
di deambulazione. L’idea di fondo del libro, quindi, è esatta: l’uomo sta
diventando sempre più debole fisicamente e omologato, “limitato”
psicologicamente a causa di queste “protesi del corpo e dell’anima”,
riprendendo il pensiero leopardiano. Il vero errore di Tozzi sta nel suo
essere così sfacciatamente ecologista, un ecologista radicale, “primitivo”;
esponente di un pensiero utopico, non condivisibile. Salvare l’ambiente che
da variopinto sta diventando sempre più “grigio”, sì! Eliminare, però, quei
piccoli comfort che sono stati delle vere conquiste per l’umanità è poco
saggio! Il progresso, quello che porta con sé vero benessere, è
indispensabile per l’Uomo. Il libro, quindi, seppur scritto con un
linguaggio semplice e chiaro, strappando inizialmente qualche sorriso,
rischia di “cadere”, spesso, in luoghi comuni e rivelarsi in alcuni tratti
piuttosto “ingenuo”. La lettura può essere consigliata a chi vuole
ricordare un po’ “i tempi andati”, la propria gioventù, a chi vuole
sorridere alla ricerca di tecnologie barocche,o, al contrario,
“preistoriche”.
Roberta Spinelli
V BU