Abbracciare la vita. Verbo infinito. Complemento oggetto altrettanto infinito. L’essere attraversati da un soffio vitale che scuote il corpo e lo fa tremare. Non di paura. Non di freddo. Ma di amore. E l’amore è un po’ ovunque, seppur oscurato dall’odio e dall’indifferenza che, troppo spesso si impossessano delle redini del mondo. Nell’abbraccio di un bambino o nell’abbraccio di Dio. Nella sinfonia di una canzone o nelle accurate parole di una poesia. E quando l’arte si presta al servizio della vita, la vita stessa diventa compito. Uomo e poeta non sono più esseri distinti. Poesia ed esistenza acquisiscono gli stessi connotati fondamentali. E’ proprio in tal modo che Dante, con la sua “Commedia”, riesce ad esaltare, con semplicità ma con non poco impegno, le fragilità dell’umano e la perfezione del divino. E’ proprio così che il poeta fiorentino, adempiendo al compito originario di ogni uomo, quello di servire la vita, intraprende, facendosi rappresentante della collettività, un viaggio di catarsi. Un viaggio nell’immaginario dell’umana coscienza, nell’ambientazione del caos, fra i meandri di quei complessi sentimenti che si impossessano del cuore umano e lo rendono schiavo. E’ solo mettendosi a nudo dinanzi alla potenza della propria essenza, è solo inoltrandosi nella selva oscura dei propri peccati che è possibile rinascere. Rinascere dai propri errori. Trovare la forza necessaria per venire alla luce una seconda volta, con la consapevolezza di potersi ritrovare, ancora, con il volto rigato dalle lacrime. Con la consapevolezza di sbagliare nuovamente ma con la certezza di essere pronti a riconoscerlo. Tra i personaggi più noti della “Commedia” vi sono infatti Paolo e Francesca, emblema dell’uomo passionale e fragile. Lei, sopraffatta dal furor d’amor, attraverso le parole dà forma a quel fuoco che arde nel suo cuore e se ne è impossessato. Lui, avvolto da quella stessa passione, sceglie il silenzio diventando muta espressione dell’amore. E Dante perde conoscenza dinanzi alla potenza di tale sentimento. Per l’umanità dello stesso e per l’eterno che deve affrontare. Nella Divina Commedia cielo e terra sono separati ma non lontani. E’ solo il percorso ad essere irto e difficoltoso. Perciò bisogna avere il coraggio di scoprirsi. Di mettersi a nudo. Di accettare le proprie fragilità, i propri limiti. Siamo uomini ma abbiamo così tanta bellezza dentro. Una bellezza che spesso rimane incompiuta, una fiamma che potrebbe ardere ma che si limita ad emanare una luce soffusa ed un calore quasi inesistente. Dante li ammette i propri limiti. Noi ne siamo spaventanti. Ci arrendiamo dinanzi alle nostre barriere. Ci appoggiamo a pugni chiusi contro di esse. Ma l’infinito deve essere afferrato. Nella siepe, così perfettamente descritta da Leopardi, bisogna cercare l’orizzonte perché è dal limite che nasce la bellezza. E’ per questo che, proprio come affermato da F. De Sanctis “[…] il poema soprannaturale diviene umano e terreno, con la propria impronta dell’uomo e del tempo.” E’ l’uomo il filo conduttore, il filo rosso che costituisce l’ordito della vita e dell’opera stessa. Quell’uomo che, dinanzi alla lonza, si accorge di non essere capace di combattere il peccato e si affida a quel Virgilio, allegoria della ragione, pronto ad accompagnarlo nel suo temerario percorso. Quell’uomo che, quando, avvicinandosi al paradiso terrestre, quello stesso intelletto, freno delle più recondite passioni, inizia a vacillare, ricorre al cuore. Ricorre al cuore per comprendere ciò che, nella realtà dei fatti, non può essere compreso. E’ una sorta di fiducia innata. Inspiegabile. Un abbandono totale all’aspetto quasi magico della vita. E’ proprio così che la “Commedia” si fa eterna. Combattendo contro il tempo che corrode gli spiriti ed attraversando gli anni che affaticano il mondo. Il tempo e la sua assoluta importanza. L’inferno con le sue pene eterne. Il purgatorio con la sua attesa. Ed un connubio perfetto prende vita. Si parla così tanto di viaggi, di breve o di lunga durata, ma ci dimentica di affrontare il viaggio più importante: quello all’interno di se stessi, quello alla ricerca del proprio io. Dante, emblema di un tempo che non muore mai, è amato perché attuale. Perché quando si perde la capacità di affrontare la vita si inizia a sentire la necessità di affidarsi a chi, quella stessa vita, l’ha attraversata. A chi, dopo aver tanto combattuto ha avuto il suo assaggio di paradiso. A chi quel paradiso, l’ha trovato nella propria anima e ci ha costruito la propria dimora.
Eleonora Chiarella, IV A Liceo de Sanctis, Trani.
Testo Vincitore al Primo Certamen Desanctisiano L’INTRICATA “COMMEDIA” DELLA VITA
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- Inserito da Angela di Gregorio
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