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Stiamo parlando di una serie tv che ha debuttato su Netflix nell’ormai lontano 25 dicembre del 2020, che per ora vanta due stagioni in aggiornamento, e che, in tempi brevissimi è arrivata sulla bocca di tutti. Creato da Chris Van Dusen e prodotto da Shonda Rhimes (si proprio lei! La stessa di Grey’s Anatomy), Bridgerton è tratto, cosa che non tutti sanno, dalla serie di romanzi scritti da Julia Quinn, ambientati nell’età della reggenza inglese, il periodo in cui governava il reggente, ovvero il principe Giorgio IV, in quanto Giorgio III non era in grado di governare. In parte, quindi, quella di Bridgerton è una storia vera, anche se la famiglia protagonista di per sé non è mai esistita.
La storia parla appunto dei componenti della famiglia Bridgerton, la cui peculiarità è ritrovabile nei nomi degli otto figli, che seguono l’ordine alfabetico dalla A alla H, e delle loro impegnate vicende, insieme a quelle di molte altre nobili famiglie londinesi, nel periodo del debutto per le giovani donne e uomini in cerca di matrimonio. Ma è molto più di questo.
Ogni stagione, almeno da quel che si evince già dalle prime due e dalle intenzioni del regista, seguiranno le vicende raccontate nel rispettivo libro di di ogni membro della
famiglia, con addette rivisitazioni e interpretazioni.
Ma al di là della bellezza visiva della serie e dello splendido lavoro cinematografico, con un'analisi attenta possiamo ritrovare quelli che sono gli elementi descritti nella pedagogia di John Locke. Locke, considerato il padre dell’empirismo moderno (ovvero quella filosofia che riconosce il limite della ragione e indaga il potenziale nell’intelletto umano), ci offre infatti una serie di proposte orientate alla formazione della classe sociale che dovrà poi guidare lo stato, quella dei gentlemen inglesi.
Nella sua pedagogia, il giovane deve imparare a guadagnarsi la stima e il rispetto dagli altri, che si raggiungono per mezzo di una buona reputazione, capacità che sarà determinante nel fargli onore. E possiamo benissimo notare questo nelle dinamiche che animano la serie, dove la reputazione è alla base dei rapporti sociali e dei pregiudizi che le famiglie si creano.
Inoltre il gentlemen deve avere buone capacità di autocontrollo, la virtù di usare rettamente la propria ragione, virtù che vediamo per esempio nel primogenito Anthony, anche se a parer mio un po forzata, che prova in ogni modo a dirigere con vigore la famiglia nel tentativo di sostituire il ruolo del padre prematuramente defunto; o anche molto presente nel protagonista della prima stagione, il duca di Hastings, di cui ci viene raccontata anche in parte l’educazione ricevuta e le difficoltà anche nei rapporti col padre che lo hanno portato poi a un estremo autocontrollo e protezione dei propri valori.
O ancora, siccome gli esempi non sono mai abbastanza, l’importanza del viaggio prevista dal suo ideale educativo in quanto fonte di cultura e stimolatore di saggezza e prudenza è delineata nel personaggio del terzogenito Colin, che vediamo apparire e scomparire proprio a causa della sua passione per questo tipo di attività, che lo porterà a confrontarsi con altri (?) in in salotti comuni.
Tutto questo senza contare l’apparizione delle altre discipline necessarie nel curricolo nominate da Locke, quali la scherma, l’equitazione (motivo dell’incontro tra i due protagonisti della seconda stagione), le lezioni di stile e di ballo e la conoscenza del diritto civile e pubblico.
Spero che questa piccola analisi non convenzionale sia stata capace di farti viaggiare in quello che è ‘elegante ma controverso contesto della nobiltà inglese, e se è così sarò felice di raccontarvi altri dettagli di questa incantevole serie tv.
Marilisa Cuccovillo - classe 4^BU Liceo delle Scienze umane "Bianchi Dottula" Bari 

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